KRS ONE & BUCKSHOT - SURVIVAL SKILLS (Duck Down, 2009)

martedì 24 novembre 2009

Io so. E ho le prove. E non perchè sia un intellettuale, bensì perchè ho le orecchie ed un inarrivabile spirito d'osservazione: ascoltare la musica di Lil' Wayne atrofizza le sinapsi, priva una persona del buonsenso e della propria Bildung. Bruciando neuroni peggio del crystal meth, essa porta inevitabilmente un essere di media intelligenza ad una incontrovertibile regressione alla fase anale. Le vittime mietute finora sono milioni in tutto il mondo -la famosa teoria di Immortal Technique sulle vendite è ormai a prova di bomba- ed alcune di esse si trovano ancora nei rispettivi posti di lavoro. Incapaci di distinguere un buco per terra dal proprio buco del culo, essi sono oramai completamente incapaci di intendere e di volere, ma alcuni tra loro tengono pur sempre con le leve del potere in mano. Li si potrebbe definire dei Caligolini del capitalismo e della comunicazione, insomma.
Uno di essi è Tom Breihan, le cui più recenti e clamorose sciocchezze gli meriterebbero un internamento gratuito ad Arkham Asylum (vedi il famoso "Asher Roth venderà MILLE MILIONI di copie, MINIMO!"), ma i pochi residui sistemi di tutela sociale evidentemente gli son bastati per conservare la propria posizione all'interno di Pitchfork. Da lì, dalla sua scrivania di Lex Luthor demente della musica, il nostro eroe prosegue imperterrito ad incensare il valore artistico della Young Money e, nel tempo libero, snocciola saggezze e caustici giudizi su rapper seri. Davvero: Breihan come sente musica fatta per piacere a gente dalla licenza media in sù scappa via stile Carl Lewis, manco fosse Kriptonite!
Ora, a parte quest'ultimo paragrafo, non è mia intenzione continuare a sputtanare Tom Breihan: da un lato perchè comunque non servirebbe a niente visto che non conto una sega in Italia e men che meno negli Stati Uniti, ma soprattutto perchè tempo addietro ci pensò già Combat Jack, e per giunta da una posizione molto più autorevole della mia e dunque con tripla o quadrupla efficacia. Mi limiterò perciò a segnalare quanto sia ridicola, infondata e fuori luogo la sua recensione di Survival Skills ed aggiungo che, così come io non mi sognerei mai di scrivere degli Arcade Fire, lui -come molti suoi epigoni- farebbe bene a stare lontano dal rap. Ma veniamo a noi e ad un altro dei tanti dischi del 2009 creati a quattro mani da un duo formatosi ad hoc.
Questa volta è il turno di KRS One e Buckshot, due veterani della scena che non necessitano di alcun tipo d'introduzione in quanto, sommando le reciproche esperienze, giungiamo alla considerevole cifra di quasi quarant'anni di carriera, il che ovviamente comporta che qualcosa dovrebbe esser giunto alle orecchie anche dei meno recettivi. Più interessante è casomai sottolineare come le circostanze abbiano portato due artisti così diversi a collaborare; certo, entrambi sono fautori di un certo rap ortodosso -chiamiamolo così- ma al di là di questo i loro percorsi sono finora stati assai diversi. Buckshot è nato come scugnizzo ed ha mantenuto questo suo status per una buona decina d'anni, salvo poi maturare quel tanto che gli è bastato per abbandonare gli atteggiamenti iperaggressivi degli esordi; KRS, invece, ha sostanzialmente sempre rappresentato al 100% la sua immagine di «teacha», dispensando negli anni insegnamenti, dogmi e ceffoni verbali a chiunque non fosse d'accordo con lui. Sul versante stilistico le differenze sono parimenti sostanziali: Buck ha sempre conservato un certo tipo di calma e minacciosa pacatezza -perdonate l'ossimoro- mentre il suo compare del Bronx non ha mai abbandonato una dizione enfatica ed apertamente aggressiva. In breve: i due sono lo yin e lo yang del rap nuiorchese.
Questa apparente dicotomia trova in realtà un'unione negli intenti, essendo entrambi gli MC scontenti della direzione presa da buona parte del rap e vedendo come unica soluzione a questo stato delle cose un ritorno alle radici. Che vivaddio non significa la rivitalizzazione del sound di una determinata epoca, ma semplicemente un approccio diretto senza troppi fronzoli con in mezzo qualche messaggio un po' più pregnante. Il tutto, com'è naturale, usando beat in linea con la loro visione artistica -e dunque forniti dai cari IllMind, Marco Polo, Black Milk, MoSS, Havoc, Nottz ecc. - ed invitando ospiti a cavallo tra le vecchie glorie (Talib Kweli, Smif 'N' Wessun, Pharoahe Monch) e le nuove leve (K'Naan, Immortal Technique, Naledge). Nulla di rivoluzionario sulla carta, insomma, ma se ben eseguito capace comunque di soddisfare chi si riconosce nell'evidente target di Survival Skills: gente cioè con la terza media, come dicevo.
Bene: cominciamo col dire che a grandi linee gli obiettivi prefissati vengono raggiunti. Nella maggior parte dei casi, beat ed emceeing si complementano egregiamente, c'è una discreta varietà di atmosfere ed i testi reggono, sia che si tratti di materiale concettualmente meglio definito, sia che si tratti di rap fatto per il gusto di rappare. Insomma, state tranquilli: Survival Skills si fa apprezzare ed è tutto fuorchè una cagata. Tuttavia, esso è lungi dall'essere perfetto, ed anzi, quasi ogni traccia presenta dei difetti che passano dalla quisquilia alla scelta sciagurata, col risultato sommario che purtroppo non è possibile ascoltare nulla che sia letteralmente perfetto. Vi faccio una serie di esempi, così capite meglio: la traccia che dà il titolo all'album ha una terza "strofa", chiamiamola così fatta di inutili shoutouts dei quali si poteva fare tranquillamente a meno; Oh Really vede un Talib Kweli decisamente fuori forma rovinare il ritornello, così come del resto Think Of All The Things soffre di un refrain piuttosto sgradevole; Connection è troppo lunga; One Shot non sfrutta la presenza di Pharoahe Monch come sarebbe doveroso fare; Amazin' nasce male come beat, come concetto e per giunta la strofa di KRS è inascoltabile; Murder 1 ospita un inutile Bounty Killer e, infine, di Melanie Fiona e Mary J Blige avrei volentieri fatto a meno.
Capito? Praticamente non esiste un'occasione dove tutti gli elementi combacino alla perfezione senza lasciare un retrogusto amaro in bocca, a parte forse Runnin' Away e Clean Up Crew. E laddove le singole sviste sarebbero perdonabili, nel suo complesso l'opera si trova però a soffrire parecchio perchè a conti fatti le manca quell'elemento capace di far esaltare l'ascoltatore. Inoltre, e questo è un fattore ulteriormente aggravante, ci sono delle canzoni che proprio non reggono praticamente da nessun punto di vista, specie nella second parte dell'album. Amazin' l'ho già citata ma voglio entrare nel dettaglio: innanzitutto qui KRS dà il peggio di sè, nel senso che ritorna sulle sue dannate routine in cui ogni verso deve contenere la stessa parola usata nella precedente (nel caso, appunto, "Amazin") e la cosa era venuta anoia quando ancora andavo al liceo; il ritornello è asinino e, come in molti altri casi, è obbligatorio interrogarsi sul motivo per cui non si abbia optato per dei sani vecchi cut; last but not least, il beat è ripetitivo e stupidamente pomposo, con trombe, synth e quant'altro si poteva inserire per renderlo una sorta di colonna sonora per film di serie Z. The Way I Live è invece una delle cose peggiori di Black Milk, in cui il solitamente eccelso produttore di Detroit ricicla un campione sentito altrove e pure meglio (Feel My Gat Blow dei Mobb, per esempio) aggiungendovi delle batterie insignificanti, sulle quali per giunta entra a gamba tesa una Mary J Blige che definire "inutile" sarebbe poco. E nemmeno vorrei parlare troppo di Past Present Future, in cui un discreto beat di 9th Wonder e delle buone performance da parte di KRS e Buck vengono rovinate dal mai bravo Naledge e da una deleteria Melanie Fiona, messa lì non si capisce bene con quale logica.
E a questo punto, né Clean Up Crew (con un stellare Rock ed una base giustamente cupa), né Runnin' Away (Black Milk si riscatta come si deve) riescono a salvare Survival Skills dal terribile limbo del tre-tre e mezzo; dico "terribile" perchè mi spiace che un progetto i cui punti forti sono comunque in maggioranza rispetto a quelli incontroversibilmente negativi venga sabotato da svarioncini francamente evitabili. Il disco si lascia ascoltare, per carità, e anzi Buckshot qui regala prestazioni altissime, ma a mancare è proprio «l'effetto wow» capace di conferire uno stato di memorabilità all'intera opera.




VIDEO: ROBOT

4 commenti:

MAK ha detto...

Per me il 3,5 ci sta tutto anche solo per gli hook sparsi su gran parte dell'album, e quasi sempre terribili.
Su Robot mi è venuto da piangere. A sto punto meglio i buoni vecchi hook urlati e ignoranti alla Black Moon...

alvi_86 ha detto...

Non mi è piaciuto neanche un pò beats brutti e Buckshot che asciuga di brutto.....quando uno si chiama Krs-One o Buckshot deve stare attento a cosa fà uscire....

alvi_86 ha detto...

Ah Reiser, cosa ne pensi dell'ultimo di Q-Tip?Per me merita!

reiser ha detto...

Invece è proprio per il 3 e mezzo che si sono scomodati in tanti. Del disco in sè secondo me, a parte a te e ck, non gliene batte il belino a nessuno

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