La linea qualitativa di AZ appare nel corso degli anni sempre più vicina ad un elettrocardiogramma; non appena Anthony Cruz vi pompa nuova energia grazie a belle cose come il recente A.W.O.L., il secondo dopo inevitabilmente incappa in una sorta di sincope e delude con prodotti discutibili come The Format. Ma per fortuna il cuore è in sè sano, per cui anche dopo la canonica défaillance si ha sempre la certezza che qualcosa di buono avverrà. Puntualmente, questo evento ha avuto luogo nel 2007, a cavallo tra le due sòle The Format e Undeniable, con questo eccellente Memphis Sessions.
Il disco s'inserisce con bruta violenza nel filone del remixtape/blend tematico à la Grey Album o Q-Unit [no homo], senonché qui l'idea finalmente viene superata dalla sostanza; vale a dire, cioè, che il plauso è meritato non perchè qualcuno abbia avuto un'ideona original-affascinant-curiosa che fa rizzare l'uccello ai recensori di Pitchfork ma semplicemente perchè il risultato è ottimo a prescindere -cosa che non si può dire per i predecessori del genere (fatemelo dire: il Grey Album è una stronzatona col botto). E la ragione che sta alla radice di questo successo è secondo me semplice: anzichè mescolare cose che tra loro non c'entrano assolutamente nulla per il gusto di sentirsi eclettici si è scelto uno dei pilastri che stanno alla base di tanto hip hop, alias la musica di Al Green. Dunque una decisione non coraggiosa ma senz'altro rispettosa dei fan del genere, i quali mi auguro si preoccupino più di ascoltare buona musica che non di viaggiare dietro l'ego o la megalomania del produttore emergente XYZ a prescindere dai risultati.
Bene: ammesso e non concesso che sia così, andiamo a esaminare più in profondità Memphis Sessions. Cos'è stato fatto? Sono state prese una serie di a cappella di AZ dai suoi due precedenti album e sono state appoggiate sopra a loop tratti da vari dischi di Al Green, senza aggiungere fondamentalmente nulla. Proprio così: se una batteria c'è è solo perchè era presente nell'originale... pigrizia? Eh no, non direi. Anzi, nella sua semplicità trovo che questo lavoro di taglia&incolla sia stato ben complesso perchè in fin dei conti si è lavorato molto sulla ricerca d'archivio, per così dire, sfruttando le melodie originali cercando di alterarle quanto meno possibile. E per quanto vi siano un paio di episodi che inizialmente sanno di già sentito (il remix di The Format è praticamente 260 di Ghostface, persino il dialogo all'inizio è il medesimo; Love & Happiness e The Letter ormai le conoscono pure i sassi), persino in questi casi s'è inserito un bridge o una fetta di campione che riesce a rivitalizzarli e a dar loro un tocco di freschezza. E poi ciò che stupisce è quanto sembri naturale la presenza di AZ su canzoni vecchie di quasi quarant'anni; la fusione tra rappata e "beat" -all'infuori di pochissimi casi dove il Nostro va fuori battuta di qualche millisecondo- è infatti perfetta e spesso gestita talmente bene da risultare ancor più d'effetto che nell'originale.
E parlando di originali, un altra lancia ha da essere spezzata in favore di Memphis Sessions. Mi riferisco al fatto che il peccato originale di AZ è quello di saper scegliere un beat valido su tre ciofeche, per cui spesso si ha di fronte il suo spiccato talento e lo si vede macellato da una base semplicemente atroce; se pensate a The Format o Sosa vi renderete conto di quanto un piccolo accorgimento -cioè l'avere un buon orecchio- sarebbe bastato a rendere quei dischi dieci volte migliori di quanto non siano effettivamente. Ecco, grazie a Memphis Sessions molti dei crimini commessi in passato vengono cancellati onde darci la possibilità di godersi le acrobazie liriche del Nostro su musica finalmente degna di questo nome. E come avevo già accennato, persino canzoni che già partivano bene o benissimo (The Format, The Come Up, New York) non perdono di fronte agli originali ed in alcuni casi -New York su tutte, assolutamente eccezionale- riescono persino a superarli.
Bene: a questo punto persino un ritardato dovrebbe aver capito che non solo ho apprezzato quest'album, ma anche che è oggettivamente uno degli esperimenti del genere meglio riusciti (se non il migliore) nonchè un pezzo imprescindibile da aggiungere nella collezione di chiunque apprezzi la buona musica. A maggior ragione se si vorrebbe tanto essere fan di AZ ma proprio non ci si riesce, appunto a causa delle sue disgraziate scelte in materia di beat -e se volete capire cosa intendo, ascoltatevi il secondo CD. Sfido chiunque a non prendere a testate lo stereo sentendo quella porcheria di The Love Of Money.
Il disco s'inserisce con bruta violenza nel filone del remixtape/blend tematico à la Grey Album o Q-Unit [no homo], senonché qui l'idea finalmente viene superata dalla sostanza; vale a dire, cioè, che il plauso è meritato non perchè qualcuno abbia avuto un'ideona original-affascinant-curiosa che fa rizzare l'uccello ai recensori di Pitchfork ma semplicemente perchè il risultato è ottimo a prescindere -cosa che non si può dire per i predecessori del genere (fatemelo dire: il Grey Album è una stronzatona col botto). E la ragione che sta alla radice di questo successo è secondo me semplice: anzichè mescolare cose che tra loro non c'entrano assolutamente nulla per il gusto di sentirsi eclettici si è scelto uno dei pilastri che stanno alla base di tanto hip hop, alias la musica di Al Green. Dunque una decisione non coraggiosa ma senz'altro rispettosa dei fan del genere, i quali mi auguro si preoccupino più di ascoltare buona musica che non di viaggiare dietro l'ego o la megalomania del produttore emergente XYZ a prescindere dai risultati.
Bene: ammesso e non concesso che sia così, andiamo a esaminare più in profondità Memphis Sessions. Cos'è stato fatto? Sono state prese una serie di a cappella di AZ dai suoi due precedenti album e sono state appoggiate sopra a loop tratti da vari dischi di Al Green, senza aggiungere fondamentalmente nulla. Proprio così: se una batteria c'è è solo perchè era presente nell'originale... pigrizia? Eh no, non direi. Anzi, nella sua semplicità trovo che questo lavoro di taglia&incolla sia stato ben complesso perchè in fin dei conti si è lavorato molto sulla ricerca d'archivio, per così dire, sfruttando le melodie originali cercando di alterarle quanto meno possibile. E per quanto vi siano un paio di episodi che inizialmente sanno di già sentito (il remix di The Format è praticamente 260 di Ghostface, persino il dialogo all'inizio è il medesimo; Love & Happiness e The Letter ormai le conoscono pure i sassi), persino in questi casi s'è inserito un bridge o una fetta di campione che riesce a rivitalizzarli e a dar loro un tocco di freschezza. E poi ciò che stupisce è quanto sembri naturale la presenza di AZ su canzoni vecchie di quasi quarant'anni; la fusione tra rappata e "beat" -all'infuori di pochissimi casi dove il Nostro va fuori battuta di qualche millisecondo- è infatti perfetta e spesso gestita talmente bene da risultare ancor più d'effetto che nell'originale.
E parlando di originali, un altra lancia ha da essere spezzata in favore di Memphis Sessions. Mi riferisco al fatto che il peccato originale di AZ è quello di saper scegliere un beat valido su tre ciofeche, per cui spesso si ha di fronte il suo spiccato talento e lo si vede macellato da una base semplicemente atroce; se pensate a The Format o Sosa vi renderete conto di quanto un piccolo accorgimento -cioè l'avere un buon orecchio- sarebbe bastato a rendere quei dischi dieci volte migliori di quanto non siano effettivamente. Ecco, grazie a Memphis Sessions molti dei crimini commessi in passato vengono cancellati onde darci la possibilità di godersi le acrobazie liriche del Nostro su musica finalmente degna di questo nome. E come avevo già accennato, persino canzoni che già partivano bene o benissimo (The Format, The Come Up, New York) non perdono di fronte agli originali ed in alcuni casi -New York su tutte, assolutamente eccezionale- riescono persino a superarli.
Bene: a questo punto persino un ritardato dovrebbe aver capito che non solo ho apprezzato quest'album, ma anche che è oggettivamente uno degli esperimenti del genere meglio riusciti (se non il migliore) nonchè un pezzo imprescindibile da aggiungere nella collezione di chiunque apprezzi la buona musica. A maggior ragione se si vorrebbe tanto essere fan di AZ ma proprio non ci si riesce, appunto a causa delle sue disgraziate scelte in materia di beat -e se volete capire cosa intendo, ascoltatevi il secondo CD. Sfido chiunque a non prendere a testate lo stereo sentendo quella porcheria di The Love Of Money.