In Italia la meritocrazia, si sa, non è una delle virtù più diffuse e rispettate né dal popolo, né men che meno dalla classe dirigente. Ogni giorno però si sente qualcuno lamentarsi di questa situazione ingiusta, indice di una nazione al suo tramonto eccetera eccetera; come sempre avviene nel Belpaese, stando a sentire le discussioni nei bar, è puntualmente il prossimo ad essere un corrotto/un tirapiedi/ un incompetente e via dicendo e quindi che morte lo colga. Ciò che però secondo me non si tiene in considerazione è che fare strada essendo privi di qualità non è per nulla facile e sovente richiede secondo me più sacrifici che sbattendosi avendo a disposizione solo il proprio cervello. Un esempio su tutti: Noemi Letizia, per presentarsi al festival di Venezia assieme ad una sorta di becero magnaccia cocainomane con la maglia di Jack lo squartatore, ha probabilmente dovuto spompinare (pardon: "essere carina") un ultrasettantenne bavoso, lubrico, rozzo e pieno di sè. Personalmente, per fare ciò reputo che ci voglia molto più fegato che seguire un corso di laurea decennale in medicina. Ecco, analogamente, nell'hip hop capita che per finire su un album della celebrità di turno si debba fare persino di peggio: nel caso dei Group Home, per dirne una, uno era un pugile di strada e l'altro un nano cattivissimo ed entrambi svolgevano le veci di guardiaspalle non ufficiali di Guru. Sarà mica una bella vita, quella?
Ora, Guru, non essendo nemmeno consigliere comunale, chiaramente non poteva premiare Melachi The Nutcracker e Lil' Dap "all'italiana", e pertanto probabilmente ecco cos'è successo: non nuotando nell'oro, e stufatosi di avere il duo tra i piedi, avrà preso da parte Primo dicendogli che urgeva trovare qualcosa da fare a quei due scoppiati. Un bel disco era la cosa più logica, ma il problema è che dei due uno sapeva a malapena stare a tempo e l'altro come rapper valeva ben poco. Che fare? Ma è molto semplice: dargli una raccolta di beat pressochè perfetta e far sì che questi riuscissero nell'ardimentosa impresa di coprire le abissali lacune liriche di Dap e Melachi. Ebbene, io credo che chiunque si sarebbe tirato indietro di fronte ad una fatica simile, ma il Premier di quegli anni di certo non temeva le grandi sfide e così si buttò a capofitto sul campionatore, regalandoci così uno dei dischi meglio prodotti e peggio rappati di tutti gli anni '90. In questi quasi quindici anni, quindi, Livin' Proof è ormai diventato il paradigma di questo genere di prodotto, nonchè la dimostrazione definitiva che anche nel rap il ruolo coperto dalla musica è infinitamente superiore a quello dei testi.
E ciò diventa lampante fin dalle prime battute di Inna Citi Life: mentre la produzione è nella sua apparente semplicità assolutamente geniale (quei charleston, dio mio, quei charleston...), le prestazioni dei due variano dall'appena passabile di Dap allo scandaloso di Melachi, che ci regala piccole perle di liricismo come questa: "Ayyo nigga I flip, and jump I shift/ For shooting a nigga in the face for I shoot to give, check it/ Swing the mic live in trife do what you like/ I hit your moms in the head with a metal pipe". Imbarazzante, vero? A momenti il campione vocale di nas usato da Primo riesce a dare la paga a tutt'e due, figuratevi; e esattamente lo stesso avviene per la title track, in cui una cut di Inspectah Deck tratto da C.R.E.A.M. va a coronare uno dei beat più uptempo ed al contempo più sinistri di Primo e fa sperare a noi ascoltatori che da quella semplice barra possa nascere una strofa intera. Purtroppo così non è, e alla fine dobbiamo arrivare fino al gioiello nascosto dell'album, cioè Suspended In Time, per sentire delle rappate accettabili: queste naturalmente impreziosiscono l'insieme, ma resta comunque il beat a fare la parte del leone, con quel campione di vibrafono (almeno così pare) che, nella vena di quello di Come Clean, sa riproporre le atmosfere d'una metropoli sotto la pioggia con rara efficacia.
Purtroppo, però, sparse per le tredici tracce ci sono anche alcune produzioni inferiori all'eccellenza, come per esempio Sacrifice, Baby Pa o 2 Thousand, che se date in mano ad un Jeru sarebbero passate come comunque belle ma che, in balìa del nano e del tamarro, affondano miseramente in quanto incapaci di sostenere oltre un certo peso d'incompetenza. Nulla di grave: basta poi riprendere l'ascolto con le due ottime versioni di Up Against The Wall (dopo attenti ascolti preferisco il Getaway Car Mix, se vi può interessare) oppure il singolone Supa Star e ci si riprende come con un'iniezione d'adrenalina, però la macchia rimane. Per fortuna comunque qualche featuring c'è, e anche se non si può certo dire che nessuno di questi sia di alto livello (a parte Guru), un po' di diversità aiuta enormemente e così facendo salva Serious Rap Shit dallo scadere in puzzetta, mentre per quel che riguarda The Realness la inserisce per direttissima tra i pezzi da 90 di tutto Livin' Proof.
Tutto qui? Sì tutto qui: Livin' Proof è un disco che bene o male tutti conoscono ma che, e qui mi rivolgo ai pochi rimasti che ne ignorano l'esistenza, va assolutamente comprato. Perchè se da un lato è vero che gli do un generoso tre e mezzo, dovuto più che altro a questioni di stretta matematica (i beat son da 4 e 1/2, l'emceeing lasciamo stare che è meglio), è anche vero che malgrado tutto si lascia ascoltare da capo a fondo senza alcun tipo di problema. Dap e Melachi fanno cagare a spruzzo? Certo, ma a chi importa? Con basi come quella di Supa Star, Supspended In Time o Inna Citi Life a qualcuno importa ancora qualcosa?
VIDEO: SUSPENDED IN TIME
Ora, Guru, non essendo nemmeno consigliere comunale, chiaramente non poteva premiare Melachi The Nutcracker e Lil' Dap "all'italiana", e pertanto probabilmente ecco cos'è successo: non nuotando nell'oro, e stufatosi di avere il duo tra i piedi, avrà preso da parte Primo dicendogli che urgeva trovare qualcosa da fare a quei due scoppiati. Un bel disco era la cosa più logica, ma il problema è che dei due uno sapeva a malapena stare a tempo e l'altro come rapper valeva ben poco. Che fare? Ma è molto semplice: dargli una raccolta di beat pressochè perfetta e far sì che questi riuscissero nell'ardimentosa impresa di coprire le abissali lacune liriche di Dap e Melachi. Ebbene, io credo che chiunque si sarebbe tirato indietro di fronte ad una fatica simile, ma il Premier di quegli anni di certo non temeva le grandi sfide e così si buttò a capofitto sul campionatore, regalandoci così uno dei dischi meglio prodotti e peggio rappati di tutti gli anni '90. In questi quasi quindici anni, quindi, Livin' Proof è ormai diventato il paradigma di questo genere di prodotto, nonchè la dimostrazione definitiva che anche nel rap il ruolo coperto dalla musica è infinitamente superiore a quello dei testi.
E ciò diventa lampante fin dalle prime battute di Inna Citi Life: mentre la produzione è nella sua apparente semplicità assolutamente geniale (quei charleston, dio mio, quei charleston...), le prestazioni dei due variano dall'appena passabile di Dap allo scandaloso di Melachi, che ci regala piccole perle di liricismo come questa: "Ayyo nigga I flip, and jump I shift/ For shooting a nigga in the face for I shoot to give, check it/ Swing the mic live in trife do what you like/ I hit your moms in the head with a metal pipe". Imbarazzante, vero? A momenti il campione vocale di nas usato da Primo riesce a dare la paga a tutt'e due, figuratevi; e esattamente lo stesso avviene per la title track, in cui una cut di Inspectah Deck tratto da C.R.E.A.M. va a coronare uno dei beat più uptempo ed al contempo più sinistri di Primo e fa sperare a noi ascoltatori che da quella semplice barra possa nascere una strofa intera. Purtroppo così non è, e alla fine dobbiamo arrivare fino al gioiello nascosto dell'album, cioè Suspended In Time, per sentire delle rappate accettabili: queste naturalmente impreziosiscono l'insieme, ma resta comunque il beat a fare la parte del leone, con quel campione di vibrafono (almeno così pare) che, nella vena di quello di Come Clean, sa riproporre le atmosfere d'una metropoli sotto la pioggia con rara efficacia.
Purtroppo, però, sparse per le tredici tracce ci sono anche alcune produzioni inferiori all'eccellenza, come per esempio Sacrifice, Baby Pa o 2 Thousand, che se date in mano ad un Jeru sarebbero passate come comunque belle ma che, in balìa del nano e del tamarro, affondano miseramente in quanto incapaci di sostenere oltre un certo peso d'incompetenza. Nulla di grave: basta poi riprendere l'ascolto con le due ottime versioni di Up Against The Wall (dopo attenti ascolti preferisco il Getaway Car Mix, se vi può interessare) oppure il singolone Supa Star e ci si riprende come con un'iniezione d'adrenalina, però la macchia rimane. Per fortuna comunque qualche featuring c'è, e anche se non si può certo dire che nessuno di questi sia di alto livello (a parte Guru), un po' di diversità aiuta enormemente e così facendo salva Serious Rap Shit dallo scadere in puzzetta, mentre per quel che riguarda The Realness la inserisce per direttissima tra i pezzi da 90 di tutto Livin' Proof.
Tutto qui? Sì tutto qui: Livin' Proof è un disco che bene o male tutti conoscono ma che, e qui mi rivolgo ai pochi rimasti che ne ignorano l'esistenza, va assolutamente comprato. Perchè se da un lato è vero che gli do un generoso tre e mezzo, dovuto più che altro a questioni di stretta matematica (i beat son da 4 e 1/2, l'emceeing lasciamo stare che è meglio), è anche vero che malgrado tutto si lascia ascoltare da capo a fondo senza alcun tipo di problema. Dap e Melachi fanno cagare a spruzzo? Certo, ma a chi importa? Con basi come quella di Supa Star, Supspended In Time o Inna Citi Life a qualcuno importa ancora qualcosa?
VIDEO: SUSPENDED IN TIME