ICE CUBE - THE PREDATOR (Priority, 1992)

giovedì 17 gennaio 2008

Il 29 aprile 1992 la corte di Simi Valley dichiara innocenti tre dei quattro poliziotti accusati del pestaggio di Rodney King. La giuria è composta da dieci bianchi, un asiatico ed un ispanoamericano: a Los Angeles, e specialmente nei quartieri predominantemente abitati da afroamericani come South Central e Watts, ha inizio il primo di sei giorni di rivolta e violenza -i cosiddetti “race riots”- che porteranno a 53 morti e circa 2000 feriti. Come sostiene Jeff Chang nel suo Can't Stop, Won't Stop: A History Of the Hip-Hop Generation (Picador, 2005), l'album che ha definitivamente contrassegnato quei giorni ed il periodo antecedente è senz'ombra di dubbio Death Certificate di Ice Cube (uscito il 31 ottobre 1991), riassumendo nelle sue 21 tracce tutta l'atmosfera dell'epoca e fornendone al contempo la colonna sonora.
Tuttavia, per quanto di enorme influenza sociale, è il suo successore ad essere entrato nella cultura pop americana -con i suoi due milioni di copie vendute e l'imponente esposizione mediatica della quale ha goduto, The Predator fa parte di quelle pietre miliari sulle quali sarebbe delittuoso soprassedere. Purtroppo, vista l'aria che tira e considerate anche le mediocrità che il Nostro ci ha regalato da Lethal Injection in poi, la mia impressione è che questo disco rischi di trasformarsi nella solita chicca da aficionados, e da qui la mia decisione di riproporlo.
Tanto per cominciare, i beat: saranno anche passati 16 anni, ma come si possono tralasciare cose come We Had To Tear This Mothafucka Up, Wicked (che straccia la cover dei Korn come e quando vuole) o la celeberrima It Was A Good Day- dove l'uso del campione di Under Between The Sheets degli Isley Brothers è talmente perfetto che qualsiasi produzione successiva perde a prescindere? Ricordo inoltro che da lì a poco il g-funk sarebbe esploso in tutta la sua ridondanza, per cui se si vuole sentire un po' di roba californiana girata in chiave hardcore (grazie ai contributi di DJ Muggs e del sempre sottovalutato Sir Jinx), The Predator è l'ultima occasione, perché da The Chronic in poi i suoni si sarebbero fatti ben più morbidi.
Naturalmente non si può scordare Cube stesso: certamente meno creativo che in AmeriKKKa's Most Wanted (ad esempio, Gangsta's Fairytale 2 non è, non può essere all'altezza dell'originale), forse meno "socialmente impegnato" che in Death Certificate, resta però il fatto che questo dischi sintetizzi perfettamente la figura artistica di O'Shea Jackson: tecnica impeccabile, stile personale, rime d'impatto e ancor'oggi non scontate, c'è tutto quello che uno potrebbe desiderare. Francamente, tolta qualche piccola svista come Dirty Mack, non ho davvero nulla da eccepire. Giusto dei rincoglioniti storici come i signori di Rolling Stone potevano degradare un simile album, ma fortunatamente la storia gli ha inciso la parola "imbecilli" in fronte già da molto tempo.
In conclusione, uno dei miei dischi preferiti di sempre dacché lo sentì duplicato su cassetta nel '96; un ennesimo doloroso ricordo dell'Ice Cube che fu e, in ultima analisi, un prodotto quasi all'altezza sia di AmeriKKKa's Most Wanted che di Death Certificate- considerando che stiamo parlando di un classico e mezzo (a voler essere severi), non è poco.




VIDEO: IT WAS A GOOD DAY

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