ORGANIZED KONFUSION - THE EQUINOX (Priority, 1997)

venerdì 12 novembre 2010

Che il rap sia un genere musicale spesso portato all'iperbole (e sovente con scarso o inesistente senso del ridicolo da parte dei rapper) è cosa risaputa perlomeno tra gli addetti ai lavori, che sanno che quando sentono un tale parlare della sua vitta con la medesima verve del verdoniano cargo liberiano, beh, con ottime probabilità si tratta di una cazzatona col botto. Del resto, se noi ascoltatori non lavorassimo di "riduzionismo" lirico, o saremmo degli imbecilli creduloni oppure passeremmo più tempo a ridere che ad ascoltare. Ma una volta entrati in questa mentalità, che richiede una certa dose di cinismo, non solo si può apprezzare il lavoro dell'artista per quello che realmente è, ma per converso si può sorridere della pompa magna in cui molti dei nostri eroi si presentano.
Sempre restando in tema, la statistica insegna che la voglia di grandeur del rapper medio si presenta innanzitutto nel titolo: sono lontani i tempi in cui un disco si poteva intitolare "Radio" o "The Message" e tanti saluti. Negli anni ci sono passate per le mani robe pomposamente intitolate "The Great Depression", "Visions Of Gandhi" o "Extinction Level Event" le quali, puntualmente, avevano contenuti che ovviamente col titolo non c'entravano una beata minchia.
Tutto questo però per dire cosa? Per dire che il titolo Equinox stavolta c'entra, seppur meno di quanto gli Organized volessero farci credere. Do per scontato che tutti qui sappiano cosa significhi la parola equinozio e passo subito al rapporto che questo ha con l'opera di Pharoahe e Po: trattasi di un concept album che ripercorre la vita di due ghettusi, Life e Malice, che rappresentano rispettivamente bene e male (da qui il rimando all'uguale durata di giorno e notte negli equinozi, nella fattispecie quello di primavera), e che durante le 20 tracce passano dalla microcriminalità e dalla relativa spensieratezza a giri ben più grossi che infine porteranno alla loro distruzione, sia per ragioni esterne (un driveby) che interne (gelosia, invidia eccetera). In conclusione, dopo il forse troppo didascalico epilogo, una ghost track che vuole fare da "colonna sonora" all'intera vicenda.
Perchè, in effetti, per quanto abbia ridotto all'osso la sinossi basta un primo attento ascolto per capire che la parabola di Life e Malice, ed il modo di raccontarla, si rifa ad un cinema in cui la componente drammaturgica è fortemente presente: il primo esempio che mi viene in mente è C'era Una Volta In America (ma anche buona parte della filmografia di Scorsese potrebbe essere un riferimento). Insomma, per ricollegarmi alla disamina della titolazione di cui ai primi paragrafi, direi che stavolta dietro ad un titolo suggestivo c'è stato un ragionamento forse non originalissimo ma quantomeno ben ponderato e che già per questo dovrebbe escludere gli OK dalla categoria dei parrucconi (casomai qualche criminale avesse mai potuto d'inserirli in un primo luogo).
Ma ciò detto, e dato atto ai due di non essere dei cretinetti qualsiasi, devo purtroppo rimarcare come la fusione tra narrazione vera e propria (gli innumerevoli skit) e musica sia solo parzialmente riuscita. Vale a dire che solo con un estremo sforzo di benevolenza posso considerare "coerenti" tracce -peraltro bellissime- come In Vetro o Numbers. Anzi, a voler essere severi si potrebbe dire che giusto Sin, Soundman e Sugah Shorty riescono a diventare parte integrante della storyline, mentre le altre appaiono quasi isolate dal contesto. E ciò non tanto perchè non si fa accenno ai personaggi del racconto (che sarebbe anche banale, volendo), ma perchè le singole vicissitudini che percorrono i due non vengono affrontate a fondo ma appaiono tutto sommato solo accennate o usate come spunto per parlar d'altro. D'altronde basta fare la controprova: ascoltate Equinox senza gli skit e vedrete che fila che è un piacere. Sono poi a conoscenza di una scuola di pensiero che invece sostiene la perfezione dell'album in tal senso, ma francamente negli oltre 12 anni passati dalla sua iniziale uscita nessuno è mai riuscito a convincermi di essere in errore. Se volete essere i primi, ben venga; intanto spostiamoci alla parte essenziale di un album e cioè la musica.
Rispetto ai lavori precedenti, Pharoahe e Po hanno adottato suoni meno ruvidi e smaccatamente hardcore, favorendo piuttosto atmosfere che non stonerebbero in Stakes Is High o Raw Deluxe. I bassi corposi, i campioni accennati e pressochè sempre d'accompagnamento alla sezione ritmica differiscono molto dall'approccio avuto in Extinction Agenda, dove i sample spesso e volentieri scandivano il ritmo e venivano attivamente usati dai due MC per gestire le proprie metriche. Qui tutto fluisce elegantemente, e pur non lasciandosi andare a melensaggini è raro trovare dei veri e propri pestoni (Chuck Cheese e 9xs Out Of 10 sono gli unici esempi della genere). Ma questa scelta artistica comunque non danneggia la qualità dell'opera in quanto tale, e sfido chiunque a dirmi che Somehow Someway, In Vetro, Questions o Shugah Shorty siano meno che belle. Insomma, francamente proprio mi riesce impossibile criticare il lavoro svolto al campionatore innanzitutto dagli Organized, ma anche da Diamond D, Showbiz, Rockwilder e Buckwild: bello, bravi, ben fatto.
E liricamente... mah, cosa cazzo c'è da aggiungere? Dove Pharoahe molla un po' la presa sull'aspetto puramente stilistico (e prendete quest'affermazione con molta cautela) lo compensa ampiamente con la scrittura, e dal canto suo Prince Po dimostra una crescita sensibile rispetto al precedente album e che si può trovare condensata in alcune eccellenti strofe -quella d'apertura di Hate su tutte.
Tirando le somme, allora, ci troviamo di fronte ad un quattro e mezzo? Eh no... nonnò. La risposta negativa non si deve tanto alla bontà dei singoli pezzi, che comunque se sommati non danno lo stesso risultato di Extinction Agenda, quanto al fatto che gli skit sono troppi e pesano ancora di più perchè, appunto, non s'agganciano bene ai pezzi musicali e viceversa. Tuttavia, malgrado questo cospicuo difetto penso che ascoltare Equinox sia comunque -lo è sempre con gli Organized- un'ottima occasione per sentire musica fatta coi controcoglioni; ineccepibile per quel che riguarda la parte tecnica, non si deve sottovalutare la capacità di coniugare questa ad un'ottima scrittura e spesso a idee geniali come quella di dar voce ad un feto nel grembo della mdare tossicomane. Nuovamente, quindi, non ci resta che ascoltare un disco degli Organized Konfusion e strapparci i peli delle balle pensando che oramai sono già nove anni che si sono sciolti.



VIDEO: SOMEHOW, SOMEWAY

DE LA SOUL - THE GRIND DATE (Sanctuary Urban, 2004)

Il lavoro in ufficio non sembra diminuire, ma francamente la tentazione di scrivere dei De La Soul lo stesso giorno in cui esce sul mercato la nuova "fatica" dei Black Eyed Peas è troppo grande. Una sorta di ripicca? Forse. In fin dei conti la cosa è abbastanza logica, nel momento in cui i De La da sempre rappresentano l'ottica più ragionevole e seria con la quale osservare il rap in modo critico, fino al punto che spesso sono passati per cosiddetti "hater" (non a caso Aaron McGruder fa riferimento ad ambedue le cose nei suoi Boondocks e più precisamente nella figura di Huey) così come chiunque li ascolti. Tuttavia, questa loro fama è stata in parte sovraccentuata e, ben più grave, la conseguenza di ciò è che il gruppo di Long Island ha visto un calo di popolarità che, oltre a nuocere naturalmente ad essi stessi, nuoce all'ascoltatore.
Un ascoltatore che, a meno che già non li conosca o non abbia un atteggiamento attivo nei confronti della musica, seguendo i dettami del mercato discografico di massa finisce col farsi un'idea del rap non solo sfalsata ma anche oggettivamente povera e dunque penalizzante. Certamente si potrebbe controbattere che in fondo i precedenti AOI non fossero tutto 'sto granché né dal punto di vista artistico e men che meno da quello commerciale, specialmente Bionix, ma ciò non può e non deve penalizzare un gruppo che fin dagli esordi ha saputo evolvere il proprio stile riuscendo al contempo a mantenere intatta la propria identità. The Grind Date rientra appunto in questa categoria di dischi: uscito abbastanza in sordina nel 2004, esso si può definire come il ritorno in forma del trio dopo la perdita di smalto dei due precedenti lavori. Con alle macchine J Dilla, Madlib, Jake One, 9th Wonder e Supa Dave West da un lato; Ghostface, Common e MF Doom al microfono dall'altro, appare evidente che non solo i Nostri vogliono rinfrescare il loro sound ma che anzi lo vogliono portare avanti rispetto a quello vigente nel 2004. Ebbene, ciò gli riesce magnificamente: su un totale di dodici tracce (tredici se si conta la traccia bonus europea) sono pochi i momenti in cui si è tentati di skippare canzone e, anche in questo 2009, The Grind Date suona più fresco di molti altri prodotti contemporanei.
Il breve ascolto (siamo di poco sopra ai 50 minuti) riesce infatti a proporre la novità acustica di una Shopping Bags con l'ibridazione tra passato e futuro dell'ottima Verbal Clap, senza però per questo scordarsi di certe atmosfere tipiche dei Native Tongues (vedi Days Of Our Lives) oppure l'approccio più strettamente boombapparo di Rock Co.Kane Flow. In tutto ciò sia Maseo, sia Dave, sia il sempre immenso Posdnuous aka Plug One (ma quando verrà riconosciuto che è uno dei migliori emsì della storia? Eh? Quando!?!) riescono a stare sul beat nel migliore dei modi, ad imperitura dimostrazione del fatto che talento e fossilizzazione sono sempre incompatibili. Per di più, la tradizionale agilità con la quale sanno passare da temi più leggeri ad altri più impegnativi senza però risultare frivoli o pedanti vede qui un'ennesima conferma; cosa da me molto gradita, questa, perché mi consente di ascoltare un disco provando piacere nel farlo ma conservando integro il mio QI.
Verbal Clap, per dire, di per sè ha ben poco significato ma i De La riescono comunque a seminare piccole chicche quà e là, e dove il concetto non è forte allora lo è la forma: vedi ad esempio la frase "Some call 'em songs, I call 'em words from me that take long to cook/ So some feel free in sayin that we don't hunger for beats, not that we not hungry, just picky in what we eat". Oppure anche Shopping Bags, per il cui beat ammetto di non stravedere ma che dal versante lirico gode di una doppia lettura: parrebbe infatti un pezzo in cui scrivono delle shopper ma in realtà sono semplicemente osservazioni su materialismo e consumismo.
Ma naturalmente c'è anche spazio per testi più diretti, e così eccoci a Grind Date (sul lavoro in generale, cfr.: "The meek shall inherit the earth but don’t forget/ The poor are the ones who inherit the debt"), Church e Days Of Our Lives, in cui su uno splendido tappeto sonor fornito da Jake One Common regala una delle sue prestazioni più convincenti. E, dimenticavo: gli ospiti sono tutti (ad eccezione di Yummy, che fa ride i polli) qui presenti nella loro forma più competitiva e pertanto i featuring sono realmente un valore aggiunto: questo vale sia per Ghostface che per MF Doom, ma anche per un Carl Thomas che di fatto mette la cosiddetta ciliegina sula torta nella stupenda It's Like That.
Ed in quanto a beat è davvero difficile stilare una classifica dei più belli. Certo è che i contributi di Dilla impressionano, ma anche Jake One non scherza (il lavoro che fa col pitch in Rock Co.Kane Flow è impressionante); tuttavia reputo che sia Dave West quello a cui vanno fatti i maggiori complimenti, vuoi anche solo perchè la più parte del lavoro la fa lui. E tra una purtroppo breve The Future, l'eccellente It's like That e l'altrettanto valida He Comes preferisco dedicare maggior spazio a lui che non a gente la cui bravura è fuori discussione. Uniche note dissonanti sono per me Shopping Bags, che non reputo rientrare nel gotha delle produzioni di Madlib, e la nainfuonderiana Church, la quale secondo me ricade nella formulaicità tipica del produttore della North Carolina e, come aggravante, non gode nemmeno dell'orecchiabilità tipica della sua scelta di sample.
Si tratta comunque di sviste di secondo o terzo piano, nulla comunque capace di danneggiare concretamente un lavoro che io reputo essere eccellente e senz'altro all'altezza (se non migliore) di Stakes Is High. Glisso volutamente sulla secondo me tremenda Shoomp in quanto bonus track esclusivamente europea e chiudo con un consiglio: oltre che ascoltarlo, ovviamente, compratelo originale. Non solo per il consueto discorso dell'impegno che va retribuito e bla bla bla, ma anche perchè il booklet è uno dei più belli e ben pensati che abbia visto negli ultimi dieci anni (fatto a calendario, su ciascuna pagina è riproposta una veste grafica tipica dell'estetica hip hop degli inizi).




VIDEO: SHOPPING BAGS

ONYX - BACDAFUCUP (RAL/JMJ Records, 1993)

Delle tante lodi espresse nei confronti di Biggie, quella che reputo più vera ed interessante riguarda la sua capacità di passare dal rap più ruvido a quello più leggero ed orecchiabile senza soluzione di continuità e, soprattutto, lasciando intatta la sua credibilità. Certo, LL Cool J ci aveva provato prima e per un po' c'era anche riuscito (I Want You non è la stessa cosa di I Need Love, non so se mi spiego), ma il trippone di Bed Stuyvesant aveva portato questa capacità ad un nuovo livello. E siamo d'accordo. Dove secondo me ancora non ci siamo è il mancato riconoscimento alla capacità dei primi Onyx di creare pezzi indubbiamente hardcore ma al contempo orecchiabilissimi -gli anglofoni possono usare il termine «catchy»- in maniera non dissimile dal punk: una volta che hai ascoltato una prima volta il ritornello, garantito che la seconda volta lo canterai -e pure a squarciagola.
Sarà questa analoga capacità ad aver decretato l'inaspettato successo di Bacdafucup nel 1993? Oggi infatti sembra incredibile, ma questo amalgama di urla e beat incessanti in quell'anno ricevette il disco di platino, non vorrei dire! E d'accordo che all'epoca c'erano mondi che ancora si contagiavano (skater, metallari, punkettoni californiani ecc.) e un certo tipo d'incrocio tra generi era possibile nonché foriero di successo, come dimostra la colonna sonora di Judgement Night (Cuba Libre in italiano), però trovo che un exploit commerciale simile non possa non tener conto delle doti dei quattro e dei produttori, principalmente Chyskillz e Jam Master Jay.
Questi elementi inoltre non solo hanno prodotto un disco dalle qualità di cui sopra, ma hanno anche portato un'indubbia originalità sulla scena, anche se questa col senno di poi fa un po' ridere e potrebbe invece essere definita una «gimmick»; pensateci, tutta la cattiveria urlata dei quattro, le smorfie, le urla, le minacce... Viene da pensare più ad un archetipo di cattiveria che non ad una rappresentazione fedele alla realtà, no? E poi anche i titoli scritti alla cazzo di cane, tipo Bichasbootlegguz, Da Nex Niguz o Atak Of Da Bal-Hedz: mettete insieme queste peculiarità e, facilmente, si potrà pensare ad un prodotto meramente commerciale non dissimile dai classici fenomeni costruiti a tavolino dai discografici. Ma sto divagando.
Il punto è che Bacdafucup è un album veramente cazzone, in cui le tematiche non contano assolutamente nulla (figa, viulenza, fumo ed essere hardcore e cattivi) e dove invece ad essere protagonista è lo stile. I beat infatti s'assomigliano molto e son costruiti grossomodo alla stessa maniera -campione di tromba o sax riverberato nei ritornelli, batteria martellante e poco altro- così come l'avvicendarsi dei quattro MC (Sticky Fingaz, Big DS, Fredro e Sonsee) procede in maniera regolare per tutto il disco, semplicemente con più passaggi di microfono per strofa del solito e con l'aggiunta di urla collettive in dati passaggi. E se questa descrizione può portare a vedere in Bacdafucup una cazzatona col botto è perchè così effettivamente è; l'esordio degli Onyx è l'equivalente dei blockbuster cazzoni con miliardi di esplosioni e fiche sparse quà e là perchè sì e, come quelli fatti bene, intrattiene dalla prima all'ultima canzone. Tracce come Throw Ya Gunz, Atak Of Da Bal-Hedz, Nigga Bridges, Slam e Shifftee rappresentano poi le impennate della trama, mentre alcuni skit, se tali si possono definire, intervallano il tutto con ulteriore ignoranza, ridefinendo così il concetto stesso del cazzeggio (Bichasbootlegguz è già nella Storia).
Come voi sapete, io non sono esattamente una persona tra le cui doti svetta la sintesi, ma cos'altro c'è da dire? Sinceramente le due righe di descrizione fatte nel paragrafo precedente sono il massimo che si può dire di Bacdafucup, perchè esso nasce e muore solamente nel momento dell'ascolto. Nella migliore delle ipotesi lo definirei una sorta di raccolta di cori da stadio, ovviamente più strutturati, ma dei quali c'è poco da dire. Sono ancora lontani i tempi in cui i quattro avrebbero abbracciato tematiche più complesse, eccelso nello storytelling e rifinito le metriche fino a giungere ad esibizioni stilistiche che non esito a definire eccelse; nel '93 la missione degli Onyx era evidentemente quella di portare il pogo nel mondo del rap e direi che ci sono riusciti perfettamente. Oggi potremmo definire Bacdafucup un disco essenzialmente pop -checché ci vogliano far credere Sticky e soci- ma non per questo esso è meno bello; anzi, avercene di dischi così. Io gli do quattro e vaffanculo, poi ovviamente non so se una persona sotto ai 25 anni (o sopra ai 30) potrà trovare in quest'opera quello che ci vedo io, ma questo è evidentemente il limite intrinseco di dischi simili.




VIDEO: THROW YA GUNZ
Onyx - Throw Ya Gunz (HIGH QUALITY )