BIGG JUS - POOR PEOPLE'S DAY (Mush, 2005)

lunedì 21 aprile 2008

Pur ritenendomi parte di una minoranza spesso vilipesa e sbeffeggiata, non mi stancherò mai di ripetere che di rap politicamente e socialmente orientato non ce ne sarà mai abbastanza. Ma attenzione: quando dico "politicamente e socialmente" intendo comunque un unicum e non due cose separate, perchè in caso contrario si creerebberò facilmente due generi barcamenantisi tra la propaganda ed un volemose bene di matrice paraciellina. Che poi, in effetti, quest'ultimo più o meno già esiste... sì, insomma, basti pensare a singoli artisti o gruppi che passano per conscious per il solo e semplice fatto che non dicono la quantità di corbellerie di altri. Il primo esempio che mi viene in mente è rappresentato dai Roots, che a me pure piacciono, ma che dai quali raramente ho sentito provenire idee o pensieri che andasserò al di là del più semplice senso comune; il secondo potrebbe essere Lupe Fiasco (che poi è un hipster viscerale, per cui non lo prenderò mai sul serio), il terzo i De La Soul e via dicendo -ce ne sono parecchi, non vorrei annoiare. Comunque sia, prendendo in prestito un termine americano, questa gente è portata più verso il "social upliftment" che verso un'analisi della società. Punto.
Ma questo è un discorso che forse andrebbe affrontato in un altro momento; l'importante ora è dare la definizione di quello che personalmente reputo musica "conscious". Vi rientrano -ma solo in parte- i Public Enemy, naturalmente l'immenso Immortal Technique, eventualmente qualcosina dei Dead Prez ed infine altri artisti in ordine sparso (Mr. Lif, Akrobatik, singole cose di Ice T o di J-Live ecc.). Bene, in questa lista rientra col pieno dei voti anche l'ex Company Flow Bigg Jus, aka Lune TNS, aka ti compriamo i dischi in quattro gatti per cui non far cagate.
Poor People's Day, come qualsiasi cervellone può evincere dal titolo, è un album incentrato sulle storture di un sistema nato e cresciuto sulla pelle del pezzaculano di turno; su come la gestione di questo sistema sia affidata ad élite corrotte; su come queste élite si prodighino per mantenere ignoranti i popoli, i quali, dal canto loro, non eccellono certo per iniziativa. E, a margine di tutto, ci sono svariate escursioni di carattere fantascientifico/distopico che fanno da collante per certi pezzi meno focalizzati.
Ora, pur non volendo mancare di rispetto al lavoro svolto da DJ GMan, autore delle musiche del progetto, la cosa che più reputo interessante sono i testi di Jus. Comincio col dire che il suo stile di scrittura si rifà più ai Public Enemy che a Immortal Technique, essendo costituito da singole "one liners" che una volta messe insieme danno sì l'idea di un tema specifico, ma cui svolgimento non è lineare. Inoltre, spesso il Nostro ricorre ad un immaginario molto ricco ed a metafore abbastanza complesse, cosa che in generale giova, ma alle volte onestamente non si capisce un'emerita ceppa di quel che vuol dirci. L'esempio più lampante per questa mancanza è rappresentato da Energy Harvester, dove pare che abbia semplicemente ingoiato un vocabolario e che la diarrea di parole che ne segue sia il risultato della digestione. Peep this: "Skin made of solar panels/Photosynthesis be pumping chlorophyll intravenous through my incisors". Aha! (E per fortuna che questa défaillance è sostanzialmente concentrata in un solo pezzo -con qualche residuo quà e là, ma nulla di grave- perchè altrimenti avrei potuto pensare di trovarmi nel bel mezzo della discografa di Canibus) Ma, come dicevo, questo è solo un caso: per il resto, o ci va giù pesante e diretto (This Is Poor People's Day, Anything You See Fit, Eerie Silence), oppure gioca di rimando. Ed è proprio qui che Jus eccelle, passando cioè dalla finzione/storytelling di Night Before al pezzo più suggestivo dell'intero album: Illustrations Of Hieronymus Bosch... That 1467 Shit. In sostanza, quello che fa è aggiornare in parte le visioni dell'artista fiammingo, allargandole con fatti/accenni di cronaca: il che, detto così, lascerebbe chiunque graniticamente indifferente, ma ovviamente bisogna vedere il come ciò avviene.
Ed è qui che entra in gioco GMan. Conoscendo evidentemente non solo le tematiche di Jus ma anche il suo stile espositivo, quasi del tutto incurante delle singole battute, questi riesce a creare delle piccole colonne sonore per ogni pezzo. L'effetto è spesso eccellente, come capita ad esempio nel singolo Illustrations Of Hieronymous Bosch[*], che fa ampio uso di campioni classici e di cori sorretti da batterie martellanti come in una marcia marziale; per converso, quando si tratta di narrare una storia quasi idealistica, si passa a suoni decisamente più leggeri e melodici come nel caso Night Before. Salvo poi rituffarsi in toni cupi ed angoscianti con la successiva Eerie Silence o la più classica When They Start (corredata nel ritornello dal classico "When we start the revolution all they'll probably do is squeal", da One Love). Insomma, sul versante sonoro abbiamo un assalto ai timpani fatto e finito -nel senso positivo del termine- che mi ha portato più volte a chiedermi come mai questo personaggio non si sia visto più spesso in giro.
Fatti i conti, immagino che qualcuno potrebbe pensare a questo disco come ad un concept album. In realtà così non è, ma fortunatamente del concept conserva l'atmosfera e l'alchimia tra produttore e cantante. Perciò, pur non appoggiandosi un pezzo all'altro, e pur non essendoci una "trama" vera e propria, l'esperienza di ascolto è comunque altamente appagante. Vivamente consigliato come disco da ascoltare con concentrazione, quindi, e per quel che mi riguarda promosso con voti alti anche se, sparsi per i 45 minuti di durata, delle cadute di stile ci sono. (A margine, segnalo la recensione che tempo addietro mi "soffiò" il mio amico Slint. [*] Comunque il video più figo mai fatto basandosi su Bosch è questo qui dei Buckethead, guardatelo che merita)




VIDEO: ILLUSTRATIONS OF HIERONYMOUS BOSCH

EPMD - BUSINESS IS OVER (2006)

domenica 20 aprile 2008

Proseguo con questa raccolta la mia bizzarra abitudine di postare greatest hits di determinati artisti prima ancora di caricare un solo loro album, ma d'altro canto mi troverei nuovamente in difficoltà nel tessere le lodi di un gruppo storico come gli EPMD. E d'altro canto, ripescare alcune delle loro tracce più significative mi pare doveroso, visto che non solo si sono accomiatati dal pubblico con un disco orrendo ed un greatest hits ufficiale ancor peggiore (nel quale addirittura ricantavano certe parti, ma si può?), ma anche perchè oggi come oggi nessuno se li caga. Tuttavia, chiunque ascolterà questi 19 pezzi potrà rendersi conto di quanto stessero avanti e di quanto comunque abbiano giocato un ruolo fondamentale nel mantenere viva la costa atlantica anche nei momenti più bui, e questo grazie ad uno stile di produzione che in parte attingeva agli stessi artisti tanto amati da Dr. dre & soci (Zapp, Parliament Funkadelic...) ed in parte lo rielaborava in chiave nuiorchese. Ovviamente, il 90% dei campioni usati (alcuni integralmente, in barba alle allora seminesistenti leggi sui campionamenti) risulterà già conosciuto, ma questo sta a significare solamente che i Nostri erano una ventata di freschezza in un panorama allora molto ortodosso. Sull'emceeing c'è relativamente poco da dire, nel senso che -al dilà del fatto che loro hanno sempre "funzionato" ma non sono mai stati dei mostri al microfono- alcune cose suonano mostruosamente datate, altre ispirano simpatia, e qui e là si può trovare qualche frase celebre riutilizzata negli anni susseguitisi ad una data canzone. Ma basta ciarlare, e via di tracklist:

01. Strictly Business
02. Underground
03. It Wasn't me It Was The Fame
04. Hardcore feat. Redman
05. Richter Scale
06. Jane II
07. Crossover
08. Let The Funk Flow
09. Please Listen To My Demo
10. Da Joint
11. You Gots 2 Chill
12. Get The Bozack
13. Nobody's Safe Chump
14. So Whatcha Sayin'
15. Headbanger feat. Redman & K-Solo
16. Rampage feat. LL Cool J
17. It's My Thing
18. Brothers On My Jock feat. Redman
19. Never Seen Before (RMX)

Nel file troverete anche la grafica, non esattamente aggiornata (cfr. sito di riferimento) ma tanto a voi chevvefrega. Pregasi apprezzare l'imitazione paracinese del tutto -mi son preso la briga di scansire ed inserire i loghi della Def Jam e della Rush, se questo non significa essere nerd...

EPMD - Business Is Over

A TRIBE CALLED QUEST - THE LOW END THEORY (Jive/Zomba, 1991)

venerdì 18 aprile 2008

A costo di scassare i coglioni ai lettori del blog con la mia ossessione per il jazz rap, ma soprattutto a costo di scrivere inevitabili banalità: ecco a voi The Low End Theory. E' molto difficile per me scrivere di un album che negli anni ho imparato a conoscere come le mie tasche, ma l'acquisto di questo capolavoro in CD -dopo anni e anni di onorato servizio da parte di una gloriosa TDK SA-X da 60- mi da un motivo pretestuoso per dare il via alle danze.
[...]
È da cinque minuti che fisso lo schermo senza sapere bene da che parte cominciare, e francamente comincio a sentirmi un po' fesso. Insomma, cosa c'è da dire di Low End Theory che non sia già stato detto? Passatemi il parallelismo, ma sarebbe come recensire la bibbia partendo dalla descrizione dei protagonisti.
Eppure di carne al fuoco ce n'è e parecchia: prendiamo anche solo The Infamous Date Rape, dove Tip e Phife si alternano nel raccontare la classica situazione dove si vorrebbe inchiodare una tipa ma questa, per un qualche stravagante motivo, non ci sta. Bene: la prima strofa illustra il, diciamo, problema; la seconda immagina come potrebbe andare a finire se la si obbligasse/pressasse, mentre l'ultima invece chiude il discorso dicendo che da parte maschile NON ci sarà alcun atto di forza. Quello che convince del pezzo è, più che le lodevoli intenzioni, l'onestà del racconto, come questo è strutturato ed anche la relativa "leggerezza" di alcuni passaggi: non si scade dunque nella fastidiosa situazione del Geremia che attacca a menare il torrone scagliando anatemi contro tutto e tutti.
Cambiando completamente ambito, sia Rap Promoter che Show Business andrebbero fatte ascoltare in loop a chiunque desideri entrare nel maggico mondo del reps -non solo perchè sono lezioni di rap di meno di quattro minuti ciascuna, ma soprattutto perchè illustrano alla perfezione qual'è la realtà del mercato discografico. Una visione così lucida e completa era una novità, allora, ed il fatto che questa sia stata delineata da ragazzi la cui età s'aggirava intorno ai 20 anni la rende ancor più sorprendente.
Voltando di nuovo pagina, a dare freschezza a concetti triti e ritriti come il rapporto col gentil sesso è nuovamente l'onestà: Butter non presenta tracce di racconti mitologici sulle proprie capacità sessuali e nemmeno va avanti a suon di stereotipi. Più semplicemente, Tip e Phife mettono giu nero su bianco i loro rapporti con le donne, trovandosi perfettamente a loro agio nell'incrociare esperienze dirette con aneddotica sparsa. Potrei andare avanti traccia per traccia, ma rovinerei l'ascolto: basti dire che contenutisticamente Low End Theory è davvero vario, ben strutturato, ed in ultima analisi difficilmente potrà risultare monotono- al punto che le uniche due ospitate, tra cui la storica apparizione di Busta Rhymes coi Leaders Of The New School su Scenario, danno un valore aggiunto ma non sono affatto "necessarie".
Ma la capacità di intrattenere va anche assegnata ad Ali Shaheed Muhammad, produttore di 13 tracce sulle 14 che compongono il disco (Show Business è a cura di Skaff Anselm), il quale supera se stesso ed il precedente People's Instinctive Travels and the Paths of Rhythm. Da sempre considerato come IL disco che coniuga jazz e rap, a mio modo di vedere però questo è semplicemente hip hop con influenze jazz. Difatti, per quanto Buggin' Out campioni in effetti dall'opera di un jazzista (cfr. TLET: The Samples), è innegabile che si tratti di purissimo boombap, oltretutto dotato di una delle linee di basso più potenti da You Gots To Chill in poi. E, già che siamo in tema di EPMD, che dire dell'evidente influsso avuto nella scelta di campionare i Parliament Funkadelic in Everything Is Fair? E nemmeno voglio perdere tempo ad elogiare la freschezza di Scenario, che mi auguro conoscano ormai tutti. Insomma, per farla breve, la produzione è quanto di meglio si sia potuto sentire da parte dei Tribe e, nuovamente, di tale bellezza e coesione da poter andare di pari passo con quanto fatto da RZA per Liquid Swords.
Eppure, vuoi anche per motivi abbastanza comprensibili, è raro che questo disco trovi spazio tra le migliori uscite secondo l'ascoltatore medio. Sarà anche una questione di età -io ad esempio filo poco la old school perchè, tolta una conoscenza accademica, difficilmente riesco ad esaltarmi con le prime cose di LL Cool J o dei Run DMC- però credo che chiunque apprezzi oggi i "figli" dei Tribe non possa trovare difficile arrendersi di fronte alla perfezione di Low End Theory. Un classico, insomma, per giunta invecchiato come il vino: praticamente ve lo carico giusto per risparmiarvi la fatica di ripparlo, in ogni caso la sua assenza da QUALSIASI collezione di dischi è ingiustificabile.




Bonus: TLET: The Samples (via kevinnottingham.com)

VIDEO: CHECK THE RHIME

GURU & SOLAR - JAZZMATAZZ VOL. 4: BACK TO THE FUTURE (7 Grand, 2007)

mercoledì 16 aprile 2008

Si faccia avanti chi si è premurato di ascoltare il quarto e finora ultimo volume della serie Jazzmatazz: sono sicuro che sono di più quelli che hanno votato la Sinistra Arcobaleno, il che è tutto dire. Analogamente, di motivi dietro a questo insuccesso di pubblico ce ne sono a bizzeffe: volendoli elencare sommariamente, il primo che mi viene in mente è perchè mediaticamente Guru sta a zero (tra lui e i Gangstarr c'è una bella differenza). Secondo, perchè il connubio tra jazz e rap oramai non attrae un granchè, il boom l'aveva avuto nella prima metà degli anni '90 e ora fa fatica persino a trovare accoliti tra gli aficionados. Terzo, perchè il volume precedente della serie era un'inumana cacata, noiosa come poche, e che per giunta di jazz aveva ben poco. Quarto, perchè la prova d'esordio della collaborazione col giovane produttore Solar era stata quantomeno "meh". Quinto, perchè le poche recensioni non ne hanno parlato un granché bene, principalmente perchè -sostengono- i pezzi si limitano ad incorporare occasionali suoni jazz anziché andarvi di pari passo.
Potrei andare avanti ancora per un po', ma preferisco fermarmi: le considerazioni elencate finora sono più che sufficienti. Eppure, e qui lo scrivo a chiare lettere, reputo che Jazzmatazz IV sia proprio un bel disco destinato ad una revisione storica che mi auguro imminente.
Vorrei però chiarire che io stesso condivido gran parte dei punti sopraelencati: JM3 era una tavanata a tutto tondo, Street Scriptures era a dir tanto banalotto, Guru si è un po' fossilizzato (ma dopo quasi vent'anni di o norata carriera...) e, soprattutto, è piuttosto vero che qui jazz e rap s'intrecciano saltuariamente ma solo in poche occasioni riescono a fondersi davvero. Eppure, volendo fregarcene dell'oggettività e dunque esclamando un bel 'sticazzi, quest'ultima nota riesce a risultare quasi irrilevante. E questo molto semplicememente perchè la maggior parte dei beat è bella e variegata, sia per quel che riguarda la programmazione ed i suoni delle batterie che per ciò che concerne scelta ed uso dei campioni, e questo senza contare i vari featuring sparsi per il disco. Ad esempio, il singolo State Of Clarity, che vede peraltro la partecipazione di Common e Bob James (quello della celeberrima Nautilus), è incentrato su un loop di basso accompagnato da brevissimi colpi di tromba e un lungo assolo finale di vibrafono, il tutto sul più classico dei 4/4; bene, già il pezzo successivo si differenzia enormememente da Clarity, vuoi anche solo per la velocità più elevata, ma soprattutto per il ritmo sincopato -senza contare naturalmente il fatto che qui si sente una chitarrina che, pur suonando similspaghettiwestern, si fonde benissimo col giro di sax e col discreto ma essenzale organo elettrico. Evito di fare una "lista della spesa", ma pur girando i pezzi intorno ai 90-95 bpm, sfido chiunque a trovare un pezzo che sia identico all'altro, così come sfido chiunque a trovare pezzi oggettivamente brutti o di bassa fattura. Al limite si potrà dire che ricampionare Joe Lewis, dopo che G Rap ha scritto la parola "fine" all'uso di Get Out Of My Life con la storica Ill Street Blues, non sia un colpo di genio; che Follow The Signs potrebbe andare bene per uno skit ma non per 4 pesantissimi minuti e 36 noiosissimi secondi; e, di nuovo, che per quanto il campione venga flippato in modo diverso -e impreziosito da lunghi assoli di sax- Who's Gonna Take The Blame di Smokey Robinson non sia esattamente una novità (cfr. Live On Live Long di Capone 'N' Noreaga). Ma tant'è: l'enorme varietà presente all'interno di Jazzmatazz IV fa facilmente perdonare certi scivoloni nel banale, e diciamo che allo stesso modo viene da glissare sulla scarsa coesione/omogeneità del lavoro. Sì, suona quasi come una raccolta di canzoni anziché un disco vero e proprio, ma visto che le canzoni sono belle io sarei anche portato a fregarmene.
Sul versante dell'emceeing direi che, al di là del presentarsi nuovamente il problema della coerenza tra traccia e traccia, non ci sia molto da dire. In fondo Guru lo conosciamo tutti, perciò mi verrebbe solo da dire che mi sembra che abbia "lisciato" un po' più il suo flow, rendendolo un po' meno legnoso (relativamente parlando). The king of monotone, però, su un aspetto va bacchettato sulle dita: con tutta l'esperienza che hai alle spalle, potresti alle volte sforzarti un po' e cercare di andare oltre al fatto che quando entri in un club le patate si scaldano e si eccitano. O no? Anche perchè va bene tutto, ma avrai intorno ai 40 anni, puoi mica scrivere le stesse monate di un Lil' Wayne qualsiasi! A questo punto è quasi meglio sentire testi sui generis come Cuz I'm Jazzy o Stand Up, che magari dicono poco o niente ma perlomeno qualche chicca la racchiudono. Quanto agli ospiti, che dire? C'è chi eccelle (Common, Damian Marley, Gift of Gab/Blackalicious) e chi invece cerca a tutti i costi di affossare il pezzo (T3 dei Slum Village, Raheem DeVaughn, Bobby Valentino [no homo], Caron Wheeler). L'unico rammarico è che di ospiti strettamente legati al jazz ce ne sono un po' pochi, quando in realtà sono poi loro a dare quel tocco in più al pezzo: vedi il già citato Bob James, Brownman ma, soprattutto, David Sanborn, che letteralmente ruba lo show sulla bellissima Living Legend.
Al solito, le conclusioni: al contrario dei primi due Jazzmatazz, questo è decisamente ascoltabile persino per chi non è un gran fan/conoscitore del jazz; al contrario del terzo, questo è un bel disco; al contrario di Street Scriptures, qui Solar tira fuori due palle così. Skippabili due tracce, eccellenti almeno quattro o cinque, livello sopra la media le restanti- peccato solo che Guru non si sia impegnato un pochino di più. Disco più sottovalutato del 2007 per quanto sia uno dei migliori, Jazzmatazz è un acquisto per me mandatorio.




VIDEO: STATE OF CLARITY (FEAT. ROBERT CRUMB?)

KILLAH PRIEST - HEAVY MENTAL (Geffen, 1998)

lunedì 14 aprile 2008

Mi piacerebbe poter copiaincollare spudoratamente l'introduzione alla recensione di Silent Weapons For Quiet Wars che scrissi qualche tempo fa, visto che vale anche per Heavy Mental; ma questo, oltre che essere una manifestazione di pigrizia, dimostrerebbe scarsa creatività. E questa mancanza, condannabile in quanto tale, sarebbe offensiva nei confronti dell'allora sottovalutato disco d'esordio di Killah Priest. Dico "sottovalutato" perchè uscì in un periodo dove da ogni uscita del Wu e compagnia bella ci si aspettava un Liquid Swords o, male che andasse, un Ironman; questo disco, che oltretutto era vittima di aspettative molto alte, ovviamente non poté sopravvivere alla delusione di molti fan fessi -tra cui anch'io- per quanto ricco di spunti e ben concepito.
Anticipato intorno a marzo '98 dalla presenza del singolone Cross My Heart sulla colonna sonora di Caught Up, quando Heavy Mental vide finalmente la luce la reazione fu piuttosto tiepida. Più curiosamente, One Step, una delle tracce portanti dell'album, campionava I Forgot To Be Your Lover di William Bell, alias lo stesso pezzo che fece diventare Worst Comes To Worst una hit: ebbene, ciò non bastò, e pensare che l'uso che ne fa Tru Master è in tutto e per tutto superiore alla sopravalutata produzione di Alchemist!
Col senno di poi, però, si può dire che questo LP è senza dubbio il migliore mai creato da KP, ma soprattutto che è uno dei pochi derivati del Wu ad avere il diritto di stare nella "casta" dei dischi che hanno segnato il periodo d'oro del collettivo di Staten Island (comunque, a chi dovesse interessare, KP è di Brownsville). Questo non solo perchè è un ottimo connubio tra liriche e beat di qualità, ma soprattutto perchè la diversità del Nostro rispetto ai suoi colleghi è decisamente marcata in quanto a contenuti: gli uni tendono generalmente all'essere dei sostanziali tamarroni con influenze da 5%er che vanno di pari passo con quelle di film come Scarface mescolato a Lone Wolf & Cub -righteous ign'ant, come si suol dire; Priest invece è fortemente legato a temi biblici, al giudaismo, e al parallelismo tra le sfighe del popolo ebraico e quelle della sua gente -senza dimenticare naturalmente una buona iniezione di orgoglio nero. Quindi non si tratta di una forma di temporalismo piuttosto che di proselitismo messa in rima, si tratta "semplicemente" della decisione di usare un dato punto di vista come fonte d'ispirazione per descrivere determinate realtà. Un approccio in sè non molto originale se si considera l'arte nel suo insieme, ma che diventa decisamente particolare se lo si applica al rap e alle (poche) volte in cui esso ha deciso di sfruttare a fondo un dato humus culturale.
Fortunatamente la faccenda non si limita a questo, altrimenti avremmo un epigone ante litteram del 5% Album di Lord Jamar: un esperimento che asciuga. No, qui si trova spazio anche per pezzi più classici come Cross My Heart, Fake MC's o Tai Chi: esposizioni di stile pure e semplici ma fortunatamente sorrette dal talento di Priest e, nuovamente, sufficentemente "personali" da non risultare manieriste. Oppure, ancora, c'è spazio per veri e proprii flussi di coscienza (la classica Heavy Mental), pezzi a sfondo parascientifico (Atoms To Adam) o altri legati a temi distopici/cospirazionisti come Information. Tutto ciò trova poi le sue fondamenta pratiche nella bella voce baritonale di KP, nella sua metrica pulita ma comunque piuttosto "elastica" (ascoltare in sequenza One Step, It's Over e Heavy Mental per credere), e nello stile di scrittura non semplice da seguire ma sicuramente appassionante e raramente scontato. Insomma, sul versante lirico c'è ben poco di cui lamentarsi, e quel qualcosina deriva dal fatto che l'album è fin troppo gordo di tracce per evitare che chiunque, anche il più bravo, scivoli alle volte in ripetizioni o rime di seconda scelta.
Quanto ai beat, la varietà c'è e la qualità media è buona, solo che la bontà del lavoro è concentrata nella prima metà dell'album: uno squilibrio molto marcato e che purtroppo può portare alcuni ad ignorare la seconda parte dell'album, nella quale pur si possono trovare belle cose come Atoms To Adam, la celeberrima B.I.B.L.E., e Information. Purtroppo ci sono canzoni nelle quali i beat puzzano da lontano di scarto (è il caso di Almost There, Mystic City, Fake MC's e la pessima Wisdom), e francamente ci si chiede perchè mai il Nostro abbia deciso di includere le suddette in un album già denso di liriche e concetti. Per il resto, i produttori (principalmente 4th Disciple e Tru Master) hanno fatto un buon lavoro che alle volte svetta: vedi appunto One Step, From Then Till Now, Tai Chi e l'ultraminimalista Blessed Are Those (curiosità: sto recensendo il disco avendolo scaricato al volo in ufficio, e in questa versione Blessed Are Those presenta un'inutile vocina femminile di sottofondo che da me non c'è. Mistero).
Infine, i featuring rientrano nello standard Wu del periodo, e cioè nessuno al di fuori del Clan. Quindi ci saltano fuori Tekitha, GZA e Inspectah Deck, qualche membro sparso dei Sunz Of Men e pochi altri. Peccato solo che sia raro che questi aggiungano qualcosa (Deck e GZA esclusi), casomai è l'occasionale accompagnamento cantato a dare un qualcosa in più al pezzo: lontani dagli schemi dell'R&B/rap & bullshit di allora, i cantati qui vengono utilizzati molto bene per conferire maggiore atmosfera alle canzoni, suonando più come muezzin in depressione che come idioti che usano la parola "freak" al posto di "fuck".
E' ovvio, visto quanto scritto finora, che non posso che consigliare vivamente l'acquisto di questo disco, i cui lati positivi sovrastano di centinaia di metri quelli negativi. Peccato però che, da lì in poi, Priest non saprà bissare l'ottima performance di Heavy Mental- di recente ho acquistato The Offering solo per i testi, e tutto sommato è stata una delle poche volte dove non ho cambiato opinione sulla validità delle motivazioni stanti dietro l'acquisto.




VIDEO: GHOST DOG/FROM THEN TILL NOW

MR. COMPLEX - TWISTED MISTER (Raptivism, 2004)

domenica 13 aprile 2008

Ci sono innumerevoli prove che la legge dei grandi numeri è SEMPRE corretta, ma poche così sottili come quella lega un individuo discutibile come Rupert Murdoch alla Rawkus: infatti, se egli non si fosse ingroppato la signora Murdoch facendole scodellare James Murdoch, futuro finanziatore della più celebre indie di fine anni '90, a quest'ora probabilmente avremmo decine di dischi validi in meno. Fortunatamente, le cose andarono per il verso corretto; non andando al cinema quella sera, i coniugi Murdoch fecero cosa buona e giusta, il che ci porta diritti sparati a questo Twisted Mister.
Fermo restando che il titolo è una delle cose più oscene alle quali io sia mai stato esposto, la prima cosa che mi fece piacere sentire in questo LP è l'atmosfera generale, il suono, genuinamente "underground" à la Rawkus (per la quale Complex aveva anche firmato). Mi spiego meglio: volendo dare un connotato all'underground oggi, ci dovremmo sbizzarrire nel suddividere il tutto per regioni, movimenti, stili e via dicendo; questo Twisted Mister si rifà invece al periodo dove queste sottigliezze ancora non esistavano ed il punto di riferimento poteva essere al massimo uno dei quartieri di New York. Ovviamente non è che la cosa sia un valore aggiunto ipso facto, ma così come molti apprezzano il ritorno dell'808, trovo che il minimalismo e la generale grezzagine dell'epoca siano più che apprezzabili, specie perché territorio ancor'oggi poco esplorato.
Ad esempio, moltissime tracce di questo disco fanno tornare la mente a Beats Rhymes & Life, Stakes Is High o Gravity. Molto nativetonguesiane sono, per esempio, Scream Shout (con Pharoahe Monch, complessivamente il pezzo migliore del disco), Calm Down (con Vast Aire), Extra Extra, Scrape Your Back Out e No Turning Back. Altre invece possono avere vaghe reminescenze del Kool Keith meno weirdo (I'm Back), del Pharoahe Monch di Internal Affairs (Emotional, con Dave dei De La) o, infine, delle cose più oggettivamente marce prodotte dalla Rawkus di allora (Director's Cut). Per chiudere il discorso riguardante i beat, posso dire che benché alle macchine vi siano state diverse persone -una decina circa- il risultato è molto omogeneo. Forse anche troppo, perchè se a un certo punto vedo che Large Professor produce come DJ Spinna, il quale a sua volta viene ripreso (egregiamente) da tali Big Trap o Wild E. Coyote (!), e TUTTI si rifanno a loro volta a un mescolone di Prince Paul, Ali Shaheed Muhammad e sarcazzo chi altro... beh, un pochino di noia potrebbe anche venirmi, no?
E qui subentra il fattore emceeing, potenziale salvatore del disco. Prima cosa: tecnicamente Complex sa stare al microfono; il suo controllo del respiro è valido e la dizione chiara, per cui la comprensibilità dei testi non è un problema. Epperò va detto che a questo va sottratta una voce non particolarmente degna di nota, uno stile che si sente essere vicino a quello di Pharoahe Monch ma del quale purtoppo manca il colpo di genio, e, soprattutto, testi che il più delle volte non dicono una straminchia di niente. Poco male, teoricamente, se ci sono le rime... pure, non posso non pensare a cose come -restando in tema di Pharoahe Monch- In Vetro oppure Hate. E va bene che pochi sopravviverebbero ad un paragone col Faraone di allora, però quando sento per la zilionesima volta la solita storiella di sesso buttata sul ridere (Scrape Your Back Out) senza che altrove si senta nulla di minimamente creativo o ispirato, mi sento automaticamente autorizzato a sbadigliare.
Fàmola breve: Twisted Mister è un disco senza pretese (o che comunque non può averne), impreziosito da alcuni featuring decisamente ben riusciti e con una produzione non particolarmente originale ma molto gradita a certi nostalgici spaccabelini. Paradossalmente, volendo ignorare certi flussi di coscienza (trad.: trip) che di tanto in tanto si spara il Nostro, come disco questo rientra senz'altro nell'easy listening del genere. E per quanto non gli dia un voto particolarmente alto, fatte le debite scremature, l'album funziona benissimo come roba da portarsi nel walkman. Come ai vecchi tempi...




VIDEO: EXTRA EXTRA

BUCKWILD - DIGGIN' IN THE CRATES: RARE STUDIO MASTERS 1993-1997 (Ground Floor, 2007)

giovedì 10 aprile 2008

C'era un tempo in cui l'allora semiesordiente Buckwild, già membro della D.I.T.C., era IL produttore da cui farsi dare un beat o come minimo farsi fare un remix. Verso la metà degli anni '90, il Nostro già poteva annoverare nel suo curriculum lavori come il classico Word... Life, Put It On di Big L, Fast Life di G Rap e Nas (originale e remix), Masta I.C. di Mic Geronimo e diverse altre; logico quindi che la sua carriera fosse al massimo non solo in termini di qualità ma anche di produttività, ed è qui che entra in gioco questo disco.
Intelligentemente, i compilatori/produttori esecutivi, anzichè limitarsi a mettere insieme una specie di greatest "hits" (come invece è avvenuto per i Golden Years di Premier, per esempio), hanno preferito focalizzarsi su tutta una serie di pezzi usciti perlopiù come oscure b-side di oscuri 12" -oppure non usciti affatto. Tutte cose molto difficili da recuperare oggigiorno, se non al limite in mp3 e con una qualità che spesso lascia molto a desiderare. È pertanto lecito parlare di questa raccolta in termini di futuro oggetto di culto per appassionati, e questo non solo per via dei motivi sopraelencati, ma soprattutto perchè si tratta di una antologia molto ben selezionata e decisamente curata (la prima cosa che la distanzia da svariati progetti analoghi è che in questo caso è stata usata la non comune cortesia di rendere quanto più omogeneo il mixaggio delle tracce).
In effetti, al di là dei gusti personali, l'unica critica che posso muovere al progetto è l'abbondare di remix di Mad IZM, di MVP e di Life's A Bitch, oltreché l'abuso del campione di Johnny Pate, indissolubilmente legato alla grandiosa Letha Brainz Blo degli Heltah Skeltah. Ma tolte queste relative pecche, il resto è un sogno che diventa realtà: poter sentire in un lasso di tempo relativamente breve Nas, i Brand Nubian, Kool Keith, O.C., Rakim, gli Alkaholiks, gli Street Smartz, gli Organized Konfusion e molti altri è una sensazione appagante in sè e per sè. E se da un lato si potrebbe stare a discutere -caso per caso- se sia meglio l'originale o il remix (in alcuni casi è comunque evidente), è un dato di fatto che questi ultimi siano sempre e comunque tracce di più che buona qualità. L'uso che ne fanno poi gli MC è un'altra storia, ma del resto non è mica colpa di Buckwild se Pharoahe Monch può pimpslappare Special Ed come e quando gli tira il culo. O sbaglio?
Dico subito che a parte un paio di piccoli dispiaceri (per pura comodità/pigrizia mia avrei voluto vedere inclusi il remix di Fast Life e Masta I.C.) io metto a disposizione questo disco solo affinché i pochi lettori del blog ne vengano a conoscenza (casomai non fosse già avvenuto) e, dopo un ascolto, decidano di correre ad acquistarlo immediatamente. Non per fare i conti in tasca a nessuno, ma possedere una simile raccolta è un dovere sociale e per di più, essendo pubblicato dalla celeberrima Ground Floor Records, conviene approfittarne fintanto che ancora si riesce a reperire con facilità.
Per mie pippe mentali, generalmente non do voti a antologie o greatest hits, e se anche stavolta seguirò fiscalmente questa regola vorrei solo evidenziare come il tutto si meriti dai quattro zainetti e mezzo ai cinque. Poi fate voi.

AKROBATIK - ABSOLUTE VALUE (Fat Beats, 2008)

lunedì 7 aprile 2008

Tutto si può dire di Akrobatik, meno che sia uno stakanovista. Detta così, la cosa potrebbe sembrare una critica, ma in una realtà come quella del rap americano, dove c'è gente capace di sfornare tre mixtape ed un album all'anno senza un minimo di discernimento, è apprezzabile chi decide di seguire la via del "slowly, but surely". Verrebbe perciò spontaneo da pensare che una cadenza così lenta (un EP, un disco creato a sei mani con Mr. Lif e DJ Fakts One, due solisti in ben otto anni) non possa che tramutarsi in una maggiore selettività e dunque qualità... o no?
Beh, non esattamente. Mi spiego: com'è che ho sempre seguito la carriera di Akro con un certo interesse, comprando tutti i suoi dischi in tempo reale e senza esitare nemmeno una volta, epperò alla fin fine nessuno di essi m'ha mai lasciato in bocca quel sapore di grande soddisfazione e suprema libidine? Oh, credo che sia abbastanza semplice: i beat. Di lui si può dire tutto: che sia uno spocchioso rompiballe che ama fare l'apostolo eccetera eccetera è magari vero, ma di certo è innegabile che abbia le idee chiare su come fare a pezzi una traccia. Con un'impronta vocale ed un carisma paragonabili ad un Tame One sotto steroidi, non è certo il physique du role (in senso lato) che gli manca; e del resto questo va a supportare una metrica piuttosto ortodossa ma decisamente pulita e senza sbavature, per di più accresciuta sia da una buona creatività che da un vocabolario ampio -senza naturalmente voler scordare la sua versatilità in ambito di tematiche da affrontare. Dire quindi che è semplicemente un "buon" MC sarebbe fargli un torto: lui è un ottimo rapper, e sfido chiunque a dimostrare il contrario, quindi il problema non sta qui.
Purtroppo, però, accade sovente che la sua scelta in materia di basi sia come minimo bislacca. Pur riconoscendogli il merito di avere gusti variegati ma omogenei, e soprattutto di non scadere mai nei cliché dell'underground (premierata, peterokkata ecc.), capita che uno si ponga la domanda: "ma quando ha detto "bello 'sto beat" si era forse fatto di crack?"
Step It Up, per dire, è un tale troiaio di suoni che il risultato è una cacofonia sul fastidioso andante (c'è di tutto: charleston, strani clap, fruscii, sintetizzatore, organo...); Ak B. Nimble vuole essere un omaggio alle radici dell'hip hop, e quindi ce tocca er beatbocs (con delle specie di surreali scorreggine ascellari nel ritornello, cosa che mi ha lasciato "eh?"). Oppure, ancora, If We Can't Build non è male, ma è francamente troppo pomposa per i miei gusti, mentre il singolo (credo) A To The K mi lascia completamente indifferente... Pure, i momenti trionfali ci sono: Soul Glo tira fuori l'animo più funkettone dei Beatminerz e ti fa quasi scordare Fully Loaded w/ Statik; Put Ya Stamp On It, pur non essendo certo una delle meglio cose mai prodotte da Dilla, incredibilmente funziona; il 9th Wonder di Be Prepared è decisamente ispirato, e sceglie un brevissimo sample vocale come unico sparring partner per delle batterie e una linea di basso che -finalmente- non suona come filtrata dalla Soundblaster dell'Amiga. Infine, per chi dovesse ricordare positivamente l'album dei Perceptionists, non solo c'è una ottima collabo con gli stessi Lif e Fakts One (Beast Mode), ma sono presenti anche un paio di pezzi che potrebbero essere presi pari pari da Black Dialogue: Black Hell Breaks Loose e l'ottima Absolute Value. Insomma, salvo i consueti scivoloni, la maggioranza dei pezzi nel complesso merita; al di là dei discorsi fatti finora, poi, va ricordato che Ak passa con disinvoltura dal pezzo da battaglia al commento politico e sociale, passando per la dedica alle donne alla critica allo stato dell'hip hop contemporaneo. Ospiti vari (Mr. Lif, Bumpy Knuckles, Talib Kweli e Little Brother tra gli altri) contribuiscono ad aggiungere una sempre gradita varietà,
Eppure... eh, appunto: gli manca quel qualcosa per raggiungere gli agognatissimi quattro zainetti. E sì che glieli vorrei dare, perchè reputo che, oltre ad essere molto probabilmente longevo (ovviamente è solo un'ipotesi basata su delle prime impressioni), è il suo lavoro migliore. Purtroppo, ci sono un po' troppe "sviste" sparse quà e là e che, per quanto non gravi se prese singolarmente, mettono i bastoni tra le ruote al disco nel suo complesso.




P.S. Scusate il ritardo, ma ho deciso che stasera fosse assolutamente l'occasione per vedere La Mummia su Italia 1. Filmaccio.

GUILTY SIMPSON - ODE TO THE GHETTO (Stones Throw, 2008)

sabato 5 aprile 2008

Ho aspettato quest'album al varco dacché lo scaricai tre settimane fa; avendomi impressionato parecchio negativamente dopo pochi ascolti, volevo vedere se il tempo avrebbe risanato questa impressione e, soprattutto, se spenderci dei soldi mi avrebbe convinto ad andare più a fondo di quanto non avessi inizialmente voglia.
La risposta è sì e no, ma procediamo con ordine cominciando a smontare una delle dicerie che più ha fatto rizzare l'uccello a hipster ed estimatori in genere: Jay Dee scelse Guilty Simpson come la prossima carta su cui puntare dicendo, nel frattempo, che lui è il suo MC preferito! BOOM! [...] Peccato però che non mi sembri che l'equazione "ottimo produttore = ottimo talent scout" sia scientificamente dimostrata, o sbaglio? Per di più, nel dettaglio, vorrei ricordare una cosuccia da nulla: quali degli MC più o meno "sponsorizzati" da Dilla è esattamente un campione? Frank 'N' Dank? Phat Kat? T3 e Baatin, magari (maramaldeggiando, vorrei sottolineare come l'unico emsì realmente bravo dei Slum Village -Elzhi- sia entrato a far parte del gruppo quando Yancey era lì lì per uscirne ufficialmente)? Diciamo che questi sono, chi più chi meno, al massimo competenti. E per carità, mi piacciono pure, ma non posso non spernacchiare chi reputa il giudizio di Dilla un determinante simbolo di qualità, specialmente considerando i trascorsi oltreché lui stesso era, al microfono, appena passabile.
E difatti non mi sono stupito nel constatare che Guilty Simpson punta tutto sulla voce, baritonale e calda [no homo], e sul cosiddetto swagger, visto che per il resto l'offerta è scarsina. Contenuti triti e ritriti? Eccoli. Metrica elementare? Eccola. Rime scontate? Eccole. Immaginario assolutamente prevedibile? Eccolo. Per farla breve: Simpson non è nient'altro che l'epitome del reppone commerciale (non storcete il naso, avete capito benissimo cosa intendo) traslato da Atlanta a Detroit, da Polow Da Don a Madlib, dalla Collipark alla Stones Throw. E se questo comunque segna il passaggio da "porcheria" a "ascoltabile", il che non è poco, certamente non significa che si possa parlare di increddibbile talento. Ma poi è davvero triste il fatto che il tutto sia così didascalico e che paia un Cencelli del gangsta rap... hai la canzone contro gli sbirri, hai il pezzo sulle puttane, quello su quanto spaccia la ggente e su quanto tu sia il king e via dicendo; il tutto, ça va sans dire, eseguito nei modi più prevedibili della terra (e infatti "bitches" continua a far rima con "riches" dall'86, e vivaddio che non siamo in California sennò non si sarebbe sfuggiti al canonico "hittin' switches"). Insomma, non un disastro ma quasi, il che mi porta a dover sottolineare che le gabolette per gonzi come il teorema dello swagger über alles (o degli adlib tattici alla Jeezy, vedete un po' voi) stanno letteralmente distruggendo il principio che PORCODDIO SE VUOI FARE RAP DEVI SAPERE RIMARE E BENE. Insomma, quando sento vere e proprie prese per il culo come "when I'm on the block thugs give me- pounds/ when I'm in London they give me -Pounds" cosa devo pensare? Che sei un genio? Che la creatività dietro questo sibillino giuoco di parole giustifichi la ripetizione della parola? In miniera, e veloce.
Ma vabbè, pace. Impallinato che è stato Guilty Simpson, la produzione com'è? Diciamo che è forse l'unica cosa che rende nel complesso piacevole l'ascolto del disco. Del resto passi che Dilla abbia steccato di brutto la scelta del MC, ma sta di fatto che dietro alle macchine è raro che possa deludere. Lo stesso dicasi per Black Milk, Madlib e pure Mr. Porter -i quali da soli si gestiscono un buon 90% delle tracce. Il suono di Detroit (di cui per l'occasione si fanno portabandiera anche Oh No e 'Lib) è quindi ben presente e, per quanto meno creativo o vario del solito (il terronazzo gli avrà detto di stare sul semplice), resta comunque quanto di più fresco e potente si possa sentire nello stagnante mondo del hip hop. Le uniche tracce su cui mi sento da obiettare qualcosa sono Kinda Live (prevedibile) e Robbery (ripetitiva), ma basterebbe la sola Get Bitches (una spezzavertebre prodotta da Porter) per riazzerare i conti.
Il punto, ora, è questo: Guilty Simpson mi pare proprio un mediocrone che, però, tra hype e attitudine molto in voga, venderà (proporzionalmente) un bel po' e sarà senz'altro un ghetto platinum. Se lo merita? Secondo me no -ma del resto il mio ghetto è borghese, quindi che posso dire? Ode To The Ghetto resta, nonostante le mancanze del MC, un disco da avere assolutamente per chi è fanatico di tutto ciò che proviene da Detroit. Tre zainetti regalati e via, ma doveste avere solo 20 carte, lasciate stare questo e buttatevi su Popular Demand di Black Milk.




VIDEO: GET BITCHES

SCREWBALL - Y2K (Tommy Boy/Hydra, 2000)

giovedì 3 aprile 2008

Essendo la situazione di riordino della mia tana [no homo] ancora in fase di stallo, ed annoiandomi non poco al lavoro, stamattina ho preso la decisione di portarmi un CD in ufficio onde scriverne una recensione. Il principale problema che si pone in questi casi è innanzitutto quello dell'ascolto: usando le becere cuffiette dell'Ipod, per il bene della recensione serve che io già conosca molto bene l'album in questione, in modo tale da non restare deluso di fronte al *BOOMCHA* che regolarmente si trasforma in un sottomesso *pifcìk*. Come seconda cosa, la scelta: che cazzo mi porto dietro?
Stavolta la decisione è venuta da sè: pochi giorni addietro è morto KL, storico membro degli Screwball, e considerando che la sua morte sicuramente non verrà celebrata come altre (è infatti morto in seguito ad un attacco di asma) mi pare più che doveroso ritirare fuori dagli archivi polverosi della storia uno degli album più sottovalutati degli ultimi dieci anni: lo sfortunato Y2K. La sorte è stata infatti decisamente ingenerosa con questo ennesimo "colpo di reni" del Queensbridge, il quale, se promosso come avrebbe meritato, si sarebbe probabilmente inserito nei dischi-redenzione del quartiere -un po' come avevano fatto The Infamous o The War Report, per intenderci. Purtroppo, una serie di cause, prima fra tutte l'incompetenza raggiunta da una Tommy Boy ormai alla fine della sua rilevanza per quel che riguarda l'hip hop, hanno fatto sì che il clamore raggiunto con il singolo Who Shot Rudy venisse sperperato in seguito a mesi di inutile attesa e di mancata promozione, condannando Y2K all'ingrato ruolo di disco-feticcio del "te l'avevamo detto che era bello".
Ma pazienza, tant'è. Il punto è che il quartetto del QB -composto da Poet, KL, Hostyle e Kyron- nel 2000 sforna questo disco, il cui valore resta intatto anche a distanza di otto anni. E, per carità, non si fatica a crederlo: produzioni dei Ghetto Pros (V.I.C. e Mike Heron), Premier, Pete Rock, Marley Marl, Godfather Don e EZ Elpee per dirne un paio; collaborazioni di Havoc, Prodigy, Capone 'N' Noreaga, MC Shan, Triple Seis, Big Noyd, Nature, Cormega, Prince Ad (aka Killa Sha), Nashawn (vabbè, l'unico che si merita un glorioso 'sticazzi) e Biz Markie... più di così? Infatti non ha molto senso tessere le lodi delle tracce una per una, essendo tutte -quale più, quale meno- valide: meglio piuttosto sottolineare la grandezza di cosucce da nulla come Seen It All (capolavoro), F.A.Y.B.A.N., Who Shot Rudy, That Shit, H-O-S-T-Y-L-E e, infine, You Love To Hear The Stories. Su ciascuna di esse, gli MC filano che è una bellezza e, pur non essendo contenutisticamente enciclopediche, riescono comunque a far digerire la loro rispettiva 'gnuranza come se nulla fosse (voglio dire, già solo intitolare un pezzo Fuck All You Bitch Ass Niggas richiede quel nonsochè in più!). Dal canto loro, le produzioni rievocano solo in parte le atmosfere tipiche del QB, favorendo piuttosto un suono più duro e/o minimalista: un'apertura, questa, che se da un lato priva il prodotto finale del marchio di fabbrica del luogo, dall'altro contribuisce ad evitare ripetizioni stilistiche ed apre anche a "contaminazioni" tutto sommato relativamente atipiche per l'epoca. E per quanto Primo se la capeggi, va detto che Mike Heron sa il fatto suo; questo non può che causare dispiacere se si pensa che ad oggi ha abbandonato il campionatore a favore di una carriera di A&R. In tutta franchezza, gli unici pezzi che ho trovato musicalmente un po' fiacchetti sono The Blocks e Zoning, per il resto proprio non c'è da lamentarsi.
Nel 2001 il gruppo pubblicherà poi un nuovo disco -da molti considerato "meh" ma per me sempre un bell'ascolto, salvo sciogliersi in seguito ad una (presunta?) defezione di Hostyle, e dall'uscita della raccolta di b-side/greatest hits Screwed Up in poi non si sentirà più nulla degli Screwball come gruppo. Y2K è quindi il modo migliore per scoprire un collettivo che è stato messo a 90 e brutalmente sodomizzato da un mercato discografico che, all'epoca, stava uscendo dalla sbornia per le tutine di Ma$e giusto per tuffarsi nelle pacconate della Cash Money. Gli Screwball facevano cose completamente agli antipodi del bling, però, ed alla fine, la loro unica apertura verso le pacchianate è a suo modo anche divertente: credo, infatti, che il video di H-O-S-T-Y-L-E sia una delle cose più (involontariamente?) comiche che il reps ricordi.




VIDEO: H-O-S-T-Y-L-E

FIFTEEN - RHYME TIME TRAVEL VOL.4 (2007)

martedì 1 aprile 2008

Come previsto, la situazione di instabilità prosegue- il futuro del blog è sostanzialmente nelle mani della DHL. Da qui, dunque, l'impossibilità di dedicare particolare tempo a recensioni, per quanto la voglia ci sia: ad esempio, ieri ho trovato da Buscemi (!) il disco dei PHD (Poet & Hot Day), che mi vorrei anche ascoltare perbenino e invece ciccia. Pazienza. Rimedio allora postando il quarto volume dei Fifteen, molto preso bene and frikkettone. Visto il perdurare del bel tempo, spero che venga apprezzato.

01. Electric Relaxation - A Tribe Called Quest (prod. ATCQ)
02. I Used To Love H.E.R. - Common Sense (prod. No I.D)
03. Lost Souls - Guru feat. Jay Kay (prod. Carloss Bess & Guru)
04. Stakes Is High - De La Soul (prod. Jay Dee & De La Soul)
05. State To State - No I.D. feat. Dug Infinite & Common (prod. No I.D.)
06. Respiration - Black Star feat. Common (prod. Hi-Tek)
07. The Next Movement - The Roots (prod. The Roots)
08. A.V.E.R.A.G.E. - Kazi (prod. Oh No)
09. Due Process - Lone Catalysts feat. Talib Kweli & Rubix (prod. J. Rawls)
10. Satisfied - J-Live (prod. DJ Spinna)
11. Remind My Soul - Akrobatik (prod. Illmind)
12. Beautiful - Masta Ace (prod. Koolade)
13. One Chance - Zion I (prod. Amp Live)
14. Wheelz Fall Off ('06 Til...) - Kidz In Da Hall (prod. Double-O)
15. Soon The New Day - Talib Kweli feat. Norah Jones (prod. Madlib)
Honorable Mentions:
16. Windows - The CMA (The Grouch & Luckyjam P.S.C.) (prod. J. Thrill)
17. If - Kenn Starr feat. Asheru & Talib Kweli (prod. Oddissee)
18. Speed - Little Brother (prod. 9th Wonder)
19. Think Twice - Pete Rock & The InI (prod. Pete Rock)

Fifteen - Rhyme Time Travel Vol.4