ELZHI - THE PREFACE (Fat Beats, 2008)

giovedì 25 settembre 2008

"Show these motherfuckers what a classic is" - una frase tratta dall'intro che ben riassume le aspettative createsi attorno al solista di Elzhi nel corso degli anni e che fa ben sperare: il Nostro è cosciente che centinaia di migliaia di backpacker lo attendono al varco e dunque sa anche che non può deludere. Tuttavia, ci sono alcune caratteristiche tipiche del classico che sono impossibili da definire all'istante dell'uscita, principalmente per una mera questione di tempo: la longevità, ad esempio. Oppure (più importante ma senza essere una conditio sine qua non) la capacità di esercitare influenza su altri artisti e sulle loro future uscite, come ad esempio fecero a loro tempo album come The Chronic o Nation Of Millions.
Nonostante queste impossibilitazioni, però, si potrebbe comunque intuire se in Preface la stoffa del classico sia presente o meno, e qui la risposta non riesce comunque ad essere definitiva. Certamente viene facile notare una cosa: dal punto di vista lirico questo disco è senz'altro il meglio che sia mai stato offerto da Elzhi, e con altrettanta certezza posso dire che è superiore a qualsiasi uscita degli ultimi tempi; mi spingo a dire che l'unico che riesca a tenergli testa è Joell Ortiz, per il resto non c'è proprio paragone.
Le quindici tracce che compongono The Preface sono un'ode all'emceeing nella quale Elzhi trova il tempo per affrontare pure esibizioni di stile così come canzoni concettuali, passando per note autobiografiche o introspettive e spesso intrecciando tutte queste cose con estrema attenzione. El non è dunque schiavo del suo stile -un piacevole ibrido tra metrica serrata a rime intrecciate ed uno stile (swagger, direbbero alcuni) molto più pacato che fila liscio come l'olio- ed anzi comprende meglio di molti altri che lo hanno preceduto che questo è "solo" un mezzo, non un fine. Facendo una metafora automobilistica che spero mi perdoniate, mentre altri viaggiano a 150 sia sullo sterrato che sull'asfaltato, prendendo cantonate a destra e a manca, il Nostro si sa gestire e preme sull'acceleratore solo quando ce n'è bisogno favorendo l'uso di freno e frizione se c'è da prendere qualche curva. Queste ultime sono perlopiù rappresentate dalle varie concept tracks dell'album (in D.E.M.O.N.S., ad esempio, rinuncia volontariamente a qualche rima giocandosela con assonanze e dizione), mentre i rettilinei sono le canzoni più spinte, dove o si trova a competere con altri (Fire), o semplicemente è libero di rivoltare il vocabolario a suo piacimento ed in totale libertà (Brag Swag).
Nel dettaglio, cosa ci offre Preface? Guessing Game, ad esempio, vede impegnato il nostro nel chiudere i versi con parole la cui ultima sillaba -che sta a noi indovinare- va ad aprire la successiva. Colors, invece, è una sorta di giochino vagamente reminescente della storica Labels (ma più che altro Fame) in cui, abbinando termini o modi di dire contenenti definizioni cromatiche (che so, "white collar crime" o "brownstone"), viene abbozzato un piccolo storytelling incentrato su miserie di vario tipo (abuso di potere da parte dei pulotti, black-on-black crime ecc.). Ma senz'altro la più soddisfacente tra tutte è l'eccellente D.E.M.O.N.S., dato che non solo contenutisticamente è più solida delle altre -si parla di demoni come metafora di negatività e situazioni avverse- ma soprattutto perchè è quella eseguita meglio in cui forma e contenuto vanno a pari passo. Sfruttando i vantaggi degli acronimi, infatti, Elzhi denuncia esempi di degrado di vario tipo (ad esempio "Deceitful Elections Monitor Our Nation") legando un passaggio al successivo e così via; so che detta così nun se capisce 'na fava, ma ascoltatela e tutto vi sarà più chiaro.
Ma oltre a queste chicche vi sono tutta una serie di manifestazioni di figaggine generalmente ben più che convincenti: la didascalicamente intitolata Brag Swag ne è l'esempio più fulgido (due strofe da applausi), ma anche quanto fatto sul remix di Fire, Yeah o Motown 25 fa allentare la mascella; specialmente se si paragonano le prestazioni di El a quelle offerte degli eventuali ospiti che, pur essendo generalmente bravini o più, vengono puntualmente eclissati ogni qualvolta il Nostro apre bocca. Infine, per chiudere il versante emceeing, solo una cosa: l'unico vero fastidio che ho provato in tutto Preface è quando in ciascuna concept track El perde tempo a SPIEGARE cosa starà per fare, come Kenshiro prima di mazzuolare qualcuno... boh, io non mi reputo un pozzo di scienza, ma francamente non sento il bisogno di farmi fare i disegnini per comprendere ciò che una persona sta facendo. Voglio dire: ok, ci sono gli svantaggiati che ancora oggi non capiscono I Gave You Power o I Used To love H.E.R., ma se calibrassimo le nostre esistenze su questi allora, prima di dirgli che andiamo in giro hittin' switches on our six-foe's, dovremmo illustrargli le invenzioni dell'uomo dalla ruota in poi.
"Ma purtroppo, dove in quanto ad emceeing siamo alla perfezione, sul versante dei beat la situazione s'ingrigisce": vi ricorda qualcosa? E' una volgare autocitazione dalla recensione di Joell Ortiz che in parte si può ripetere anche per questo caso. Dico in parte perchè The Preface è, in realtà, prodotto molto meglio di Bodega Chronicles; solo che da Black Milk mi sarei aspettato di più. Intendiamoci: la spettrale D.E.M.O.N.S., l'omaggio dilliano di Brag Swag o la magnifica pesantezza delle batterie di Detroit 25 sono solo alcuni esempi della bravura qui mostrata dal giustamente osannato produttore. Epperò vi sono casi dove ci si chiede se non avrebbe potuto e dovuto osare un po' di più, come a suo tempo era avvenuto per Popular Demand; magari sarà che oramai mi sono abituato ad un certo tipo di suono, ma The Leak o Colors, e ancor di più la banalotta Transitional Joint (basta porcoddio co' ste vocine), sono tanto piacevoli quanto prive di mordente. Forse le mie sono richieste ingiuste dovute più ad aspettative che a critiche effettive, ma è anche vero che trovo "ingiusto" che l'MC dia il meglio di sè in quanto ad abilità e creatività -rischiando- mentre tu te ne stai più o meno abbarbicato al tuo talento "standard" senza osare un granchè, limitandoti al massimo a perfezionare e rifinire quanto fatto finora. Diciamo che in rari casi, e questop è uno di essi, preferisco che vi sia qualche guizzo d'inventiva che magari può non piacermi del tutto ma che di certo va ad aumentare le mie motivazioni per l'ascolto in profondità del disco.
Tolto quest'unico neo, che dire? Beh, innanzitutto che secondo me non è un classico. Certo, non ci sono tracce brutte -questo assolutamente no- ma purtroppo le punte di eccellenza sono secondo me un po' troppo sporadiche (glissiamo sul fatto che alcune erano già state sentite su Europass). Inoltre resta il fatto che qui Black Milk non è stato capace di dare quel colpo di reni che gli avrebbe consentito di stare alla pari con Elzhi, col risultato che alle volte s'insinua un senso di déjà vu indegno di un classico e indegno soprattutto del magnifico lavoro fatto da quest'ultimo. Ciò nondimeno The Preface è un gran, GRAN disco che merita tutta l'attenzione degli ascoltatori di rap e che va ad inserirsi al primo posto della classifica di miglior disco dell'anno.



3 commenti:

MAK ha detto...

Più l'ascolto e più mi prende. Quest'album non sarà un classico, ma sono daccordo con te nel dire che ne ha comunque le parvenze. Con gli adeguati rapporti, il mio gradimento sale proporzionalmente alla quantità di ascolto, come successe per dischi tipo Enter The Wu-Tang, Funcrusherplus, Deltron 3030...
La recensione è davvero interessante, poichè io non sono ancora in grado di dare un giudizio uniforme al disco in questo momento, ce l'ho in mano da poco tempo.

Anonymous ha detto...

Ottimo Disco, a me la roba di Detroit piace molto però quando ho preso il Disco ero abbastanza diffidente, per il voto, concordo con Antonio ma alla fine sono piccolezze.

Sempre da Detroit volevo dirvi di Invincible, il suo Disco è Shapeshifters, merita, a è Donna.

Fugu.

reiser ha detto...

Ne han detto molto bene, ma purtroppo a me le voci femminili fanno cacare

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