MIGHTY JOSEPH - EMPIRE STATE (Urchin Studios, 2008)

lunedì 17 novembre 2008

Signori, sono letteralmente senza parole: ho ordinato tre dischi venerdì pomeriggio e già stamane m'erano stati recapitati a domicilio. Il mio stupore e la mia meraviglia non derivano però unicamente dalla velocità della spedizione -maggiore, ricordo, della pur costosa raccomandata r/r- ma anche dal fatto che due dei suddetti dischi erano stati da me relegati nella sezione "miti & leggende", non essendo mai riuscito a reperirli tramite i consueti canali fisici. Da ciò deriva dunque una mia immensa soddisfazione ed un personale consiglio a provare Amazon (e sì, lo so che è una banalità, ma magari di dinosauri che come me hanno finora rimbalzato l'acquisto online ce ne sono ancora).
Ciò detto, arriviamo al punto. Non ho bisogno di dire quanto io storicamente abbia sempre più o meno detestato Vast Aire, mi limito a confessare che l'odio era dovuto solo in parte al suo stile ultrascandito e sovraenunciato (del tipo "impara l'inglese con Vast"); in realtà, a fare i maggiori danni alla mia sensibilità erano i beat che aveva usato per i suoi due album da solista. Ma quando nel gennaio di quest'anno lessi di una sua pubblicazione a quattro mani con tal Karniege, devo dire che la mia disponibilità all'ascolto crebbe; e se poi crebbe ancor più quando scoprii che alle macchine c'erano dei perfetti sconosciuti, dall'altro ammetto che il comunicato stampa mi fece decidere definitivamente per un ricco download e per l'azzeramento (temporaneo, quantomeno) dei miei solitamente inossidabili pregiudizi.
In particolare, a destare in me un'enorme curiosità furono queste parole: "[...] Empire State was shaped over a three year period, it unravels a unique perspective, documenting [...] the changes in the streets of New York City. From Poverty, to the September 11th attacks, to the abuse of Hip Hop culture in general, Empire State stands strong as a snapshot of the city." Ecco: pur non essendo né un nuiorchese né tantomeno un gran conoscitore della città, so per esperienza che le opere che riescono a mantenere la promessa (anche non esplicita) di ricreare istantanee della Grande Mela non solo mi piacciono in termini meramente musicali, ma s'imprimono a fuoco nella mia memoria oltreché nelle mie orecchie. E nel caso di Empire State direi che il cappello vada tolto non solo di fronte a Karniege e Vast, ma anche all'autore del centratissimo comunicato stampa. Il disco in questione riesce difatti a riproporre in chiave aggiornata, e dunque senza far ricorso a scorciatoie di matrice nostalgica- l'efficacia di diversi album degli anni '90 che, almeno per quanto mi riguarda, non solo ascoltavo in quanto musicalmente potenti ma soprattutto perchè capaci di restituire in musica dterminati scorci urbani altrimenti privi di particolare significato (banalmente: traffico, metropolitana, pozzanghere, freddo ecc.). E se ciò gli riesce benissimo è perchè, paradossalmente, non vuole essere universale ma anzi si focalizza su New York lasciando a noi ascoltatori il compito (e lo spazio) di farci le proprie relative seghe mentali.
In un alternarsi tra pestoni quadrati quasi privi di melodie e dalle batterie incessanti (The Uprising, Pandora's Box, The Dark Ages, Blood Sport) ed altre composizioni più "lievi" e mirate al malinconico (Kidz, Blurr, Anything Can Happen), bene o male tutta la gamma del suono "urban" (nella vecchia accezione, non quella attuale e metrosessuale) viene coperta egregiamente senza, salvo qualche svista, repentini e fastidiosi imbizzarrimenti fuori luogo. In più, come dicevo, questo processo non viene svolto mediante smaccati richiami a sonorità del passato, bensì reinterpretando la "formula" -che in verità non può essere definita tale in quanto non artefatta- ed equilibrandola egregiamente tra quello che alcuni considerano rap d'avanguardia ed un approccio più tradizionalista legato ai primi anni '90. I curatori di quest'operazione sono principalmente tre: l'ormai giustamente elogiato Melodious Monk, Karniege stesso e tal Aerz Nights ("Me neither", ©Byron Crawford); oltre ad essi, vanno segnalati anche Madlib ed il defunto Camu Tao, i quali pur non aggiungendo nulla di enormemente significativo riescono ad inserirsi molto bene nell'atmosfera generale. E se particolar menzione meritano senz'altro The Uprising, Anything Can Happen, Kidz e la triviale ma efficace Pandora's Box (dalle forti reminescenze dell'indie di fine anni '90, vedi alla voce Collude/Intrude), devo dire che il resto oscilla sempre tra il medio ed il medioalto, con come uniche eccezioni le noiosette e manieristiche Rock-It-Science e General Stripes, oltre che la cacofonica e realmente insopportabile Night Life, unico vero neo di Empire State.
Quanto agli MC, la combo Vast-Karniege risulta piuttosto efficace nel suo alternare le bizzarrie del primo con la linearità del secondo. In pratica, quando Vast comincia a perdere il filo e ad esagerare col flusso di coscienza (chiamiamolo così), subentra Karniege e rimette la canzone sui binari; viceverasa, quando Karniege comincia ad asciugare nella sua non trascendentale personalità, è il turno del panzone di riaggiustare le cose. E se entrambi dimostrano una buona capacità come battle rapper (non sto ad elencare, ma di carne al fuoco ce n'è), devo dire che gli episodi più felici di Empire State sono invece rappresentati dagli storytelling (Criminal Tales o Anything Can Happen) ma soprattutto dall'eccellente Kidz, che riesce ad unire note autobiografiche del passato, denuncia della diffusa povertà e del crimine a immagini del loro quotidiano, e che vede Karniege scrivere e rappare la miglior strofa del disco: ascoltare per credere. Certo, non sempre l'alchimia tra i due funziona -spesso a scapito di Karniege- ed alle volte questa manca anche in quanto al rapporto col beat, ma fortunatamente questi scivoloni capitano guardacaso sulle basi meno riuscite, quasi che gli autori stessi si fossero resi conto di trovarsi per mano del materiale incapace di suscitare grande inventiva. Ultimo capitolo, gli ospiti: Qualche membro della Stronghold (il per me insopportabile Poison Pen, Swave Sevah), un paio di "star" che effettivamente non deludono (Murs e Vordul) e dei relativi sconosciuti le cui prestazioni vanno dal buono (Genesis) al mediocre (Access Immortal), passando per il bizzarro (sono solo io a pensare che Double A.B. rappi con la stessa identica metrica di Cam'Ron?).
In conclusione, mi rammarica notare come il pur buon Deuces Wild abbia fatto scivolare in sordina questo Empire State (complice forse una distribuzione globale a chiazza di leopardo); personalmente poi ritengo che i paragoni, per quanto comprensibili a causa dell'analogia del sound, non abbiano senso. E se proprio uno li volesse fare, allora potrebbe dire che Deuces Wild è più rifinito e più focalizzato/rifinito nel suo insieme, così come Empire State riesce a preservare quell'aura di ruvidità e odore di hardcore che all'altro manca. Sia come sia, reputo ambedue le opere tra le migliori cose uscite nel 2008 e, in virtù della longevità dimostrata nei fatti da Empire State (mai cancellato da un Ipod da 4GB), gli affibbio quattro ricchi zainetti a dispetto della sue lacune. Toh.


2 commenti:

MAK ha detto...

Ottima recensia! Ti dirò, a me Empire State è piaciuto moOolto più di Deuces Wild...

DJmp45, per quali motivi Discogs è così meglio di Amazon?

reiser ha detto...

DJ Mp è fatto così... proponigli Word XP e ti dirà NeoOffice; proponigli NeoOffice e ti dirà Lettera 22; proponigli Lettera 22 e ti risponderà "GUTENBERG'S DA CHEF"

Dipendesse da lui inciderebbe ancora i solchi nella pietra lavica con selce benedetta daglia antenati quadrumani di Kool Herc

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