WORDSWORTH - MIRROR MUSIC DELUXE EDITION (Halftooth, 2005)

giovedì 9 aprile 2009

È già da diverso tempo che mi porto in ufficio Mirror Music ed ogni volta che provo a buttar giù due righe incontro un problema non esattamente da poco: proprio non mi tira il culo di scriverne una recensione, e questo per due semplici motivi. Il primo consiste nell'averne già scritto una recensione qualche annetto fa e che però ora non riesco a ritrovare. Ma questo non sarebbe un problema se si trattasse, che so, di Joell Ortiz; purtroppo, e questo è il secondo motivo, si tratta di un album che secondo me è del tutto privo di pezzi "portanti" e che quindi si dimostra assolutamente inadatto ad un ascolto se vogliamo superficiale, buono cioè a dare una rinfrescata alla memoria riportando alla luce impressioni e critiche già formulate da tempo (e aggiungo che quest'assenza è abbastanza deleteria per un ascolto tout court).
In un empito di autodisciplina e responsabilità, però, ho pensato che a questo punto sarei potuto andare in ufficio a piedi per qualche giorno; visto che il tragitto (3,5km circa) mi richiede una mezz'oretta a passo sostenuto, così facendo avrei avuto modo di riascoltare Mirror Music in maniera più profonda. E difatti così è stato: la conclusione, che anticipo, è che malgrado mi sia dovuto forzare a scegliere Words ogni qualvolta che scorrevo la lista degli artisti, alla fin fine sono giunto ad affinare il giudizio espresso tempo addietro e che finora avevo stoicamente mantenuto. Ma prima di esternarlo vorrei passare in rassegna le particolarità di quest'opera, partendo come al solito dai beat.
Dunque: ad eccezione di un CD bonus contenente una serie di remix di canzoni dell'album curati esclusivamente da Oddisee, Mirror Music presenta una lista di beatmaker piuttosto estesa: rispondono all'appello con due o più tracce ciascuno Ayatollah, i Beatminerz, Curt Gowdy, Frequency e, chiaramente, Oddisee; poi, con un beat a testa ci sono Sebb, Belief (?), Dave Dar (?), R.thentic (?) e DJ 3D + DJ A.Vee (??). A questo punto persino i più svantaggiati tra voi dovrebbero aver intuito che il minutaggio di MM è qualcosa di gargantuesco, e se calcolate che non ci sono skit bensì venti tracce complete di tutto punto allora potete facilmente giungere alla conclusione che non si tratta di un dischetto fatto tanto per fare.
La pecca in tutto ciò, però, è che difficilmente ci sono beat che davvero riescano a catturare l'attenzione dell'ascoltatore. Mi spiego meglio: certamente ci sono oscillazioni qualitative, e certamente alcuni campioni restano in mente più di altri, ma in generale non ho esitazioni nel definire il lavoro svolto al campionatore da quest'esercito di beatmaker scialbo. Togliamo infatti il soul di Hold On, l'elegante accompagnamento di pianoforte e coro effettato di Twelve Months, nonchè i synth di Not Fair e la bella atmosfera di roots reggae di One Day e cosa ci resta? Vocine pichate, brevi sample di archi, batterie leggerine e poco più come nella migliore (ironico) tradizione dei dischi underground che vogliono rifarsi ad un sound degli anni '90 che secondo me esiste solo nelle loro teste. Certo, il vantaggio è che un semplice accompagnamento musicale -perchè di questo si tratta- favorisce la concentrazione sull'aspetto lirico, ma vi sono addirittura episodi in cui questo viene danneggiato da produzioni di cattivo gusto o realmente amatoriali (Point Blank, Don't Go, On Your Feet).
Ma non voglio essere inutilmente cattivo, e allora confermo che avete letto bene: c'è molta scialberia ma perlomeno questa aiuta a seguire Words nelle sue abilità e nei suoi racconti. In tal senso è allora particolarmente apprezzabile la coerenza sussistente tra titolo, durata e contenuti: Mirror Music è effettivamente una sorta di diario in cui Words mette dentro tutto sè stesso, al contrario di molti -troppi- album in cui l'autore pretende di dare una visione intimista ed invece prima o poi ci scappa l'ode to dem hoes o il pezzo da club. Il problema con me, però, è che in genere questi approcci sanno un po' troppo di emo e frequentemente mi rompo genuinamente i coglioni nel sentire aneddoti o riflessioni su una vita della quale ben poco m'importa o interessa: il paradigma di tutto ciò sta in Below The Heavens di Blu & Exile. Tuttavia, a prescindere dagli argomenti affrontati (sui quali tornerò più avanti), devo ammettere che il Nostro sa mescolare sapientemente esperienza diretta e riflessione universale; o, meglio, usa la prima per meglio spiegare la seconda e anche se ciò alle volte termina inevitabilmente in didattica sociologica, più sovente concede uno spazio all'ascoltatore per adattare l'ottica di Wordsworth al proprio vissuto.
E questo è davvero fondamentale, perchè dimostra che non solo il Nostro è dotato di un'ottima penna (cosa che peraltro si evince dai realmente ottimi storytelling di Twelve Months e One Day), ma anche che non difetta di capacità di comunicazione lato sensu; ossia sa come aprire un canale tra sè stesso e l'ascoltatore. Pertanto viene naturale provare interesse verso tematiche come la catarsi nei confronti delle donne che avviene grazie alla nascita di sua figlia (meglio tardi che mai, direi), l'ineluttabilità degli eventi, le difficoltà di crescere un figlio per un genitore divorziato o l'assunzione di responsabilità tout court. Ma non voglio spoilerare troppo; anticipo solo che la carne al fuoco è davvero molta e non si limita alle tematiche da me elencate ma si spinge oltre, e tutto questo in maniera che -sì, davvero- imbriglia l'interesse di noi che lo seguiamo traccia dopo traccia.
E poi, certo, qualche canzone dedicata all'hip hop nelle sue varie sfaccettature, così come la rappata fatta per il gusto di esibire lo stile... ci sono anche quelle. E devo dire che funzionano bene perchè fungono da momenti di pausa in cui da un lato si "stacca" dal lato più serio di Words e se ne apprezza la bravura tecnica. Perchè se di sicuro c'è che la sua voce non è tra le più interessanti del panorama mondiale, è del resto innegabile che in quanto a metrica, complessità degli incastri, ampiezza del vocabolario e pura tecnica il Nostro sia veramente capace. Trovo che la collabo con il collega Punchline, Not Fair, sia un ottimo esempio di tutto ciò; ma vi suggerisco di prestare particolare attenzione anche alle tracce meno evidentemente destinate ad essere vetrine di stile, perchè anche lì troverete giochi di parole e combinazioni di parole francamente sorprendenti (e se anche vi dovessero sfuggire, il booklet include tutti i testi; un'ottima scelta).
In conclusione cosa c'è da dire? Forse che l'arma a doppio taglio di Mirror Music è la sua complessità lirica affiancata a produzioni mediamente tutt'altro che notevoli. Queste passano in secondo piano se si ascolta l'album traccia per traccia, una dopo l'altra: allora sì che si entra nel cosiddetto mood e si riesce ad apprezzare il lavoro svolto da Words. Ma in caso contrario, scegliersi una canzone piuttosto che l'altra così -en passant- non funziona. E alla luce di questo difetto (mancanza di mordente vero e proprio), sommato ad altri (voce non accattivante, basi scialbe e talvolta brutte) non me la sento di dargli più di tre zainetti, benchè le liriche siano spesso davvero molto buone.




VIDEO: GOTTA PAY/TRUST

1 commenti:

Anonymous ha detto...

ok!
si, viendolo de esa manera tienes razon.
pero no se, quisas yo sea el que no esta mui de acuerdo con lo que pubicas, debe ser una cuestion de gustos.
saludos!

Kleek87!

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