NINE - CLOUD 9 (Profile, 1996)

lunedì 23 giugno 2008

È raro che io mi trovi a dare un voto basso ad un album di underground nuoirchese di metà anni '90, ma alle volte le eccezioni ci sono e solamente chi non ha vissuto quel periodo potrebbe essere portato a dare una lettura revisionista di questo Cloud 9. Ammesso naturalmente che lo conosca, cosa piuttosto difficile in quanto questo suo secondo album vendette ancor meno del esordio (il che è tutto dire) e per giunta fu privo di un singolo-tormentone come Whutcha Want. Dubito quindi che se ne possa trovare una copia oggi, se non a suon di mercatini dell'usato e via dicendo.
Ma fatto sta: nel '96, l'emcee dalla voce più naturalmente roca e profonda del Bronx -tipo Sandro Ciotti, per capirci- decise di dare alle stampe il sequel di Nine Livez, disco tutto sommato discreto e decisamente adatto per i tempi. Come in quest'ultimo, difatti, non troveremo traccia di ritornelli cantati o beat leggeri quanto piuttosto di boombap scarno ed essenziale, impregnato di grimeiness fino all'osso e di titoli scritti in mezza fonetica: in una parola, hardcore. E fin qui tutto bene. Ma i primi dubbi possono sorgere già con l'intro, dove Nine e King Just scambiano due strofe passabili su... un campione di Biscuit dei Portishead. Già, proprio così: Biscuit, che a sua volta si basava su un campione (I'll Never Fall In Love Again), viene campionata senza alcuna variazione -figurarsi che nemmeno prendono l'intero loop iniziale, ma solo il primo giro. Ecco, diciamo che a casa mia una tale pigrizia non è ben vista, ed anzi pare quasi un'antesignana di quei internet mc's che a fine anni '90 si mettevano a cantare sopra singoli loop rabbati a destra e a manca col fruityloops; inutile dire che, in quel caso, perlomeno non correvamo il rischio di sentirli incisi su disco.
Ma per fortuna Every Man 4 Himself fa risalire la china: il beat gode di gran belle batterie che pestano come dio comanda, una linea di basso bella piena e, soprattutto, di un campione di taglio orchestrale splendidamente cupo e nient'affatto barocco o esagerato. Su questo tappeto il nostro non esplora nuovi territori in quanto a contenuti, ma riesce a suonare decisamente convincente nel proclamare ad alta voce quanto fa brutto e, per quanto tecnicamente le rime siano buone e poco più, l'effetto complessivo è decisamente appagante. Promosso, insomma. Sulla stessa qualità s'attesta anche We Play 4 Keeps, che ai nostalgici non potrà non piacere per via di quel breve campione di sax riverberato che fa molto anni '90. La base è difatti tanto ben fatta quanto manierista, ma a meno che uno non si aspetti per forza faville ogni qual volta ascolta una canzone, l'esito lascia un buon sapore in bocca e quasi si comincia a credere di aver fatto un buon acquisto.
Ma come si comincia a nutrire questo sospetto, si parte con gli scivoloni. Innanzitutto si fa avanti il fatto oggettivo che, voce a parte, Nine non sia tutto 'sto granchè di MC. Certo, ha una tecnica dignitosa ma, tanto per dirne una, le sue rime scadono spesso e volentieri nella prevedibilità più totale; per di più, non si può sicuramente vedere in lui una fervida immaginazione nè per quel che riguarda l'uso delle metafore, nè per ciò che concerne l'abilità descrittiva. Il suo approccio potrebbe quindi essere definito come diretto, ma francamente penso che dietro ci sia semplicemente una capacità molto limitata e nulla più se non, volendo, pigrizia. Questo è un difetto che si fa particolarmente evidente nel caso di produzioni che per vari motivi sono fiacche: vedi ad esempio Tha Product e Uncivilized, ambedue troppo orchestraleggianti e monotone, oppure No Part A Me, Richman Poorman e Jon Doe: mediocri a dir tanto, utilizzabili al massimo per uno skit. Talvolta, poi, anche se il beat regge egregiamente (ed è il caso di Lyin' King) può capitare di sentire materiale di scarto come "I heard your album and I don't believe a word of it/ I think you're soft like that trick Mother Hubbard fillin' the cupboard with gang goods like mother Goose, who lived in a shoe/ Next door to your weak-ass crew". Per giunta, nella stessa canzone assume un tono da moralista illuminato in palese contrasto coi contenuti delle precedenti canzoni, sicché per quanto i rapper non siano generalmente dei campioni di coerenza verrebbe da chiedersi se è la stessa persona ad aver scritto questa canzone e, per dire, Make Or Take.
Per converso, se il beat e l'eventuale ospite sono di qualità, non si può nascondere il fatto che Nine suoni rinvigorito. Ad esempio, la sopracitata Make Or Take non solo è il pezzo migliore di Cloud 9, ma è a mio avviso uno dei capolavori degli anni '90. Prima di tutto grazie al beat, dove un campione di Ronnie Laws viene tagliato divinamente e riesce da solo a conferire una melodia al contempo minacciosa e soave; ma poi è Nine che suona giustamente incazzato e, d'altro canto, Smoothe Da Hustler aggiunge ulteriore energia durante il ritornello al punto che non può che dispiacere on sentirlo per una strofa intera. Meno belle ma comunque d'effetto sono la ruvida Warriors (miracolosamente, Bounty Killer calza a pennello sul beat e sull'atmosfera in generale) e l'autobiografica 4 Chicken Wings And Rice, unico pezzo lento e tutto sommato ben scritto pur nella sua prosaicità.
Ma queste parentesi non bastano a risollevare un album che, se contestualizzato, di certo non può reggere il confronto coi mostri sacri dell'epoca. Vale anche in questo caso il solito "eh, ma è meglio della merda che esce oggi", senz'altro; ma questo la dice lunga più su come siamo messi oggi che su Nine, il quale pur avendo un discreto orecchio musicale ed una tecnica accettabile è fin troppo banale nella sua scrittura. Questo difetto lo può celare finchè vuole dietro a belle basi e ad una voce senz'altro particolarissima (che peraltro o si ama o si odia), ma ascolto dopo ascolto alla fine salterà fuori. E purtroppo, possedendo quest'album dal lontano '96, non posso dargli più di due zainetti e mezzo. D'altro canto non posso che consigliarne comunque l'ascolto, vuoi anche solo per la splendida Make Or Take che, ripeto, merita di stare nell'Olimpo del rap nuiorchese (ma anche statunitense) degli anni '90.




VIDEO: MAKE OR TAKE

3 commenti:

MAK ha detto...

Al tempo presi l'album solo per Make Or Take, ma nel complesso mi piacque abbastanza. Spietatissimo, un voto o mezzo in più poteva starci, ma è soggettivo quindi non discuto.
Piuttosto, ti è capitato di sentire Return Of The Hardcore? Un Mix Album di pezzi dal 1999 al 2003, che speravo contenesse qualche bomba e invece si è rivelato una boiata unica..

reiser ha detto...

Sono d'accordo, nel senso che a 'sto giro dovrei abbassare il voto anche a quello dei Blahzay Blahzay o a quello di Grand Agent, ma sai che sbatta?
Diciamo che mi concedo sempre una variazione nel voto di mezza tacca.

Return Of The Hardcore... mmmmh, fammi pensare... dovrei controllare sul mio hard disk casalingo, ma quello che ho è solamente una serie di b-sides (credo) antecedenti. Comunque tra le ultime cose sue che avevo sentito c'era un pezzo ignorantissimo con tali Demastas, Feel No Guilt, che oltre a campionare Top Billin' s'incentrava su quanto è bello andare in giro per feste e rovinarle sparando colpi in aria, prendendo a sberle la gente, rapinandola, o tagliando i cavi delle casse col cutter. Geniale!
Una tamarranza a 360° tra le più incredibili che mi sia mai stato dato sentire

Antonio ha detto...

Questa e' la roba che all'epoca mi fece (quasi) allontanare dall'hip hop. Dal 1995 in poi, sai quante di queste boiate sono uscite?

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