KID CUDI - MAN ON THE MOON: THE END OF THE DAY (G.O.O.D. Music/ Universal Motown, 2009)

martedì 13 ottobre 2009

So che molti di voi, leggendo una recensione del debutto di Kid Cudi e rapportandola al nome del mio blog, penseranno che mi sono bevuto il cervello; ma se finora sono riuscito ad evitare di dover ascoltare e recensire 808's & Heartbreak, quest'anno non riesco ad esimermi dal dire la mia su uno dei dischi più attesi del 2009 nonché uno dei pochi ad aver avuto un buon successo commerciale pur non avendo alle spalle una danza ad hoc o dei beat del dirty south. Non solo: dacché è cominciata la moda del hipster rap -e cioè dal 2005- questo è finora l'unico disco ad aver venduto un numero di copie coerente rispetto all'entusiasmo raccolto nel magico mondo di internet, paradossalmente non rientrando però negli stilemi dello sventurato sottogenere.
Insomma, vuoi anche solo per il tipo di ricezione ottenuta, Man On The Moon vale le poche migliaia di battute che gli dedicherò. Ma non c'è solo questo: al di là di questioni legate ad affiliazioni con Kanye West, e al di là di comportamenti ridicoli tipo l'annuncio dl ritiro dalle scene prima ancora che l'album uscisse (!), c'è della musica che all'interno del panorama dell'hip hop costituisce una novità o, più esattamente, presenta alcuni tratti quantomeno interessanti. A partire, per esempio, dal gran discorrere che s'è fatto riguardo alla collocazione musicale del disco stesso: io personalmente non ho dubbi a riguardo nel definirlo rap, vuoi pure con tutte le variazioni del caso, perchè nella maggior parte dei pezzi si ha per le mani un tale che scrive rime su 4/4 in maniera più classica di quanto non vorrebbe far pensare e/o nascondere. Ecco: quando un'opera si presenta con un simile biglietto da visita vale quantomeno la pena di ascoltarla e, stabilito che in questo caso non si tratta di una atroce cagata priva di capo e coda, vale anche la pena di degnarla di qualche riflessione extra rispetto a quello che è lo standard.
Innanzitutto abbiamo una pretenziosità di base fuori dal comune: a partire dal titolo, Man On The Moon si presenta come un concept album suddiviso in cinque capitoli che dovrebbero mostrare l'evoluzione di Cudi (pomposamente chiamato "our hero" da un irritante Common nelle vesti di narratore) attraverso sottili metafore e buone dosi di introspezione. Tuttavia, analogamente agli ugualmente pretenziosi Alan Parsons Project, l'ascoltatore arriva a fine disco subodorando una certa confusione (è sogno? È realtà? Ha qualche importanza saperlo?) e, in ultima analisi, ravvisando nel passaggio da un capitolo all'altro semplicemente questo: Cudi si racconta e si fa, Cudi si deprime e si fa, Cudi raggiunge il successo ma resta depresso e si fa, Kudi trova un po' di coraggio per vivere e si fa. Insomma, come romanzo di formazione non siamo proprio al livello di un Giovane Werther, del quale conserva solamente lo spleen e poco più.
Perchè il secondo punto critico di Man On The Moon è questo: a prescindere dalla qualità delle rime, il Nostro presenta una scrittura abbastanza atroce ed assimilabile agli stereotipi peggiori dell'esistenzialismo facilone dell'emo, genere dal quale vampirizza in primo luogo l'autocommiserazione ed in secondo l'errata convinzione che a qualcuno possa interessare il proprio egocentrismo. Oddio, a qualcuno sì, ma quantomeno dovrebbe essere espresso con inventiva, capace magari di rivolgersi al prossimo pur restando personale e magari inserendo quà e là qualche riflessione dal respiro più ampio. Ebbene, così non è, e così il malcelato edonismo di Cudi si traduce in alcuni versi che trascendono la semplice grossolanità per scivolare nel pacchiano: "I've got some issues that nobody can see/ And all of these emotions are pouring out of me"; "The moon will illuminate my room and soon I'm consumed by my doom"; "I live in a cocoon, opposite of Cancun/ Where it is never sunny, the dark side of the moon". Nota bene che queste bestialità hanno tutte la medesima origine, ovverosia Soundtrack 2 My Life, e per quanto non sempre si scada a questi livelli direi che non c'è una strofa che non presenti difetti evidenti a colpo d'occhio.
Terzo: Cudi come rimatore in sè e per sè vale davvero pochino. Certo, ha l'accortezza di mascherare le sue défaillances liriche dietro ad uno stile enfatico che gioca molto su pronuncia, estensione delle sillabe ed armonizzazioni, ma ciò non basta per sgabolare le tante banalità o forzature che si possono leggere nei testi, che sono stati oltretutti trascritti per filo e per segno nel booklet. La cosa in sè e per sè sarebbe anche trascurabile -almeno fino ad un certo punto- se i testi si fossero rivelati chissà che, ma, come s'è visto, essendo questi sul becero andante le lacune più tecniche si fanno sentire.
Ora: se ci fermassimo a questo punto avremmo tra le mani qualcosa di genuinamente ed insindacabilmente orribile, degno di una fatwa da parte di chiunque reputi la musica come un qualcosa il cui uso nasce per essere diverso dalla tortura nel carcere di Guantanamo. Ma è proprio alla luce di questi difetti, ed al contrasto che si crea con la fruizione complessiva di Man On The Moon (che è secondo me positiva) che si notano i punti a favore del progetto e di conseguenza capirne meglio l'essenza.
Per esempio, tra i pregi di Cudi c'è senz'ombra di dubbio un talento fuori dal comune nello scrivere e cantare ritornelli; infatti, credo che in ognuna delle tracce qui presenti, le eventuali malefatte delle strofe vengano ampiamente sorpassate da dei ritornelli capaci d'infilarsi nei timpani per non uscirne più. Cudi questo lo deve sapere, e difatti fa molto affidamento su di essi, col risultato che se Man On The Moon sopravvive ai deficit lirici del nostro è anche per via di quest'aspetto.
Secondo: il Nostro sarà anche un formidabile produttore di ovvietà o fonti assortite di disinteresse, ma perlomeno egli sa propinarcele in forme molto varie; so che potrebbe suonare come una battuta, ma vi garantisco che se il suo smisurato ego venisse proposto in modi più tradizionali l'esito sarebbe catastrofico. E allora ecco che il suo stile armonico, per quanto non sufficiente a far dimenticare la sua infausta penna, basta però per rendere ascoltabile buona parte delle canzoni, le quali vengono poi definitivamente tratte in salvezza dai ritornelli e dal terzo, fondamentale, pregio di quest'album: i beat.
Ecco, a fare la parte del leone in Man On The Moon ci sono le basi. Curate perlopiù da Emile (sì, lo stesso Emile degli NYG'z, Cormega e dei Ghetto Dwellas, pensa te), Plain Pat e Kanye West, queste mescolano con abilità -e qualche paraculismo- hip hop, downtempo e soprattutto quintali di ambient anni '80 (Vangelis e ovviamente Jean-Michel Jarre sono i primi nomi a venirmi in mente) per produrre musica sovente ideale per una vera e propria colonna sonora. Synth di tutti i tipi, pianoforti, effettini in midi e quant'altro sappia partorire un certo tipo di elettronica rétro riescono miracolosamente a convivere con batterie dai suoni classici e campioni più tradizionali, formando così delle atmosfere rarefatte che al contempo bene s'appoggiano allo stile del protagonista, ma che soprattutto ne sorreggono i trip egocentrici fornendogli delle atmosfere coerenti coi vari "temi". Difficile in tal senso estrarre le cose migliori, perchè, va detto, molte di queste vedono la propria quadratura del cerchio solo con l'intervento di Cudi e dei suoi orecchiabili refrain: Solo Dolo potrebbe esserne l'esempio migliore, ma al di là di questa potrei indicare anche Soundtrack 2 My Life, Alive, Day 'N' Nite (fortunatamente presente anche col remix dei Crookerz -che m'è sempre piaciuto) o l'asterixianamente intitolata Sky Might Fall.
Ecco: "orecchiabilità" è la parola chiave di Man On The Moon, che si candida ad essere uno degli album rap dal suono più ruffianamente pop che abbia mai sentito. Attenzione: sottolineo "ruffianamente". Non confondetelo quindi con quello che fanno i Black Eyed Peas, il cui target è palesemente composto da bburini discotecari dal palato facile e, almeno in quello, onesto; Kid Cudi si rivolge ad un pubblico più snob, che cerca comunque un fattore di "coolness" ma che non vuole confondersi coi suddetti bburini ed i loro gusti proletari -pur condividendone diversi aspetti. Per intenderci, quelli che leggono Vanity Fair anziché Grazia; quelli che snobbano H&M per comprarsi le magliette di Tokidoki; quelli che considerano Madonna una scarsa merdina ma apprezzano Lady GaGa (non a caso campionata in Make Her Say) vuoi anche solo perchè ha alle spalle un simulacro di factory warholiana. Il calcolo, la volontà di ritagliarsi una fetta di mercato in quel substrato della popolazione è qui evidente e si pone in netto contrasto l'intenzione dichiarata di comporre un disco assolutamente sincero (magari Kudi, che è fesso, ci crede anche, ma i capoccia della Universal e Kanye manco per il cazzo), e proprio per questo motivo reputo che Man On The Moon sia quasi più interessante dal punto di vista del fenomeno sociale che non quello musicale. Difatti credo anche che -fotografando gusti trendy sulla cui durata non scommetterei un soldo bucato- invecchierà malissimo fino al punto in cui, riascoltandolo tra dieci anni, avrà la stessa freschezza che oggi possono avere i fenomeni anni '80 soggetti al revisionismo storico della "cultura" hip. O magari mi sbaglio. Fatto sta che malgrado questa sua sfacciata paraculaggine è impossibile non trovarci un qualcosa di positivo e quantomeno una certa ricerca (e, diciamolo, un'orecchiabilità innegabile); per cui, per quel che mi riguarda, oscillo tra un due e mezzo ed i tre. Siccome però ai N.A.S.A. -altri bei paraculo pure loro- ho dato 2 e 1/2, e questo Man On The Moon se li magna a colazione, a questo piazzo un tre abbondante. Provatelo, ma solo se sapete di essere capaci di chiudere un occhio di fronte a tanto cinismo.




VIDEO: DAY 'N' NITE (CROOKERS RMX)

7 commenti:

reiser ha detto...

Vado in ordine inverso: la storia di Lady GaGa e Madonna l'ho sentita più volte, proprio perchè lavoro in un ambiente in cui i leggings in latex, gli skinny gìns e le magliette pacco sono all'ordine del giorno. Non la capisco nemmeno io, ma del resto non è l'unica cosa.

Parentesi folkloristica a parte, parliamone di Kudi che sarebbe una ventata di freschezza, ma parliamone davvero.
Innanzitutto la sua presunta freschezza si limita a sè stesso e finora non è in sè nulla di più sensazionale di quello che han fatto i Kidz In the Hall o i Cool Kidz. Quindi al massimo la definirei "refolo". Poi, il suo successo commerciale potrà aiutarlo quanto vuoi, ma prima di arrivare al livello di un Kanye ce ne passa.

Inoltre, più che lui -che, ritornelli a parte, davvero vale poco- secondo me sono i beat a conferire valore al disco. Gli avessero dato le basi di 808s & Heartbreak dubito che avrebbe svoltato, visto il relativo insuccesso di quel disco MALGRADO si trattasse dell'arrogantello di Chicago che tutti amano (Graduation: quasi un milione di copie. In una settimana).

Terzo, tu conferisci a Cudi capacità innovative e marce in più che non solo sono tutte da verificare sempreché ve ne siano (cfr. Lupe Fiasco, che sembrava l'avvento del messia e che poi ci siam persi per strada pur essendo più bravo), ma soprattutto sembrano implicare automaticamente un valore aggiunto in quanto tali. Insomma, non rappa ma canticchia, se ne batte il culo delle rime perchè per descrivere le sue profonde elucubrazioni non ha bisogno di stupidi orpelli stilistici, senza raddrizzamenti in autotune si perederebbe un po' della magia... mah tu chiamala innovazione, se vuoi, ma a me pare semplicemente "diversità" (e sto essendo molto generoso)

reiser ha detto...

Ah, parentesi, io mi chiamo fuori dal suo target (immagino volessi dire questo, con "pubblico"), ma non dal bacino di ascoltatori... insomma, lo compro, perdo tempo a recensirlo dandogli un voto decoroso e me lo ascolto pure in walkman visto che basi e hook meritano anche

Ma se gli hipster -chiamiamoli così per comodità- sono PALESEMENTE il gruppo a cui 'sta roba è diretta non è mica colpa mia

A_G ha detto...

oh rezpect per i maglioncini rosa

Anonymous ha detto...

"Urban" AHAHAHAHAHAH!!

Anonymous ha detto...

@giornalista (di tv sorrisi e canzoni?) competente ed anonimo:
1)secondo te le label guadagnano dalla vendita dei cd?non e' che ne fanno di piu' fra download e suonerie forse?aggiornati!
2)"prodotto black coicontrocoglioni?" ma chi kid cudi?o stavamo parlando di nas nel 94?
@reiser: e' sempre un piacere passare di qua, cmnq per dovere di cronaca un ascolto gliel'ho dato giusto per non giudicare a priori
djmp45

Anonymous ha detto...

quello che stavo cercando, grazie

Anonymous ha detto...

molto intiresno, grazie

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