GOODIE MOB - SOUL FOOD (Laface, 1995)

martedì 9 febbraio 2010

Se qualcuno è rimasto perplesso per la recensione di ieri e per il voto assegnato a Stunts Blunts & Hip Hop, allora aspettate di giungere al termine di questa recensione; ma prima di farlo leggete tutto per bene, per favore, cosicché non mi rompiate i coglioni a vuoto con appunti e rimostranze inesatte costringendomi oltretutto ad inutili autocitazioni. Grazie.
Detto questo, innanzitutto cerchiamo di cominciare a dare una descrizione quanto più completa di quest'opera partendo dal titolo; un elemento, questo, tradizionalmente poco rilevante nell'hip hop -dove a contare è l'allure di ficaggine più che il concetto, ammettiamolo- ma che stavolta ha un senso che vale la pena di esplicare soprattutto in considerazione dell'esotismo culturale che vi è insito. Partiamo dunque dal termine. Per «soul food» s'intende la cucina povera tipica delle classi mediobasse residenti negli stati americani del sud, le quali sono composte in stragrande maggioranza di afroamericani -inventori di una gastronomia che ha come tratto principale quello di essere ipercalorica, speziata e fondamentalmente tanto indigeribile quanto gustosa (immaginatevi perciò un bue impanato farcito di cozze, pizzoccheri e curry). Ma oltre all'accezione più squisitamente legata all'arte dei fornelli, ho letto -e mi è stato confermato- che parlare di «soul food» corrisponde all'evocare immagini di unità famigliare, e proprio quest'aspetto è quello che i Goodie Mob intendevano sottolineare dando questo nome all'album.
Perchè se da un lato possiamo facilmente cogliere il doppio senso del «cibo per l'anima», o dire mediante una metafora facile facile che il piatto offertoci dal quartetto di Atlanta è ricco e gustoso nella sua semplicità, dall'altro è forse meglio evidenziare il richiamo all'unità espresso mediante diversi messaggi contenuti nell'ora di durata di Soul Food. Il quale risulta interessante, profondo e sentito come poche altre opere perchè non viene espresso in maniera diretta e/o didascalica, bensì attraverso l'esposizione (quasi sempre autobiografica) dei tanti mali che affliggono il loro mondo, e la contrapposizione ad essi dei pochi momenti positivi che li rendono superabili. E, ovviamente, questi momenti positivi hanno come comune denominatore l'unità, unica panacea possibile per flagelli quali la guerra tra poveri, il razzismo, l'isolamento dal mondo dl benessere e via dicendo.
Ma malgrado questo messaggio positivo, che resta costantemente sullo sfondo, Soul Food è tutto fuorchè un disco solare e perciò si distanzia nettamente dalla scuola dei Native Tongues. Mi preme di nuovo sottolineare il fatto che l'unità viene (sotto)intesa come unica via d'uscita possibile per la situazione presente, e che questa indicazione ci arriva attraverso l'esposizione del background in cui i quattro si trovano a vivere anzichè come gioioso richiamo alla fratellanza in nome del volèmose bene. Critica, paranoia e senso d'oppressione sono presenti in dosi massicce già nel coraggioso singolo Cell Therapy, in cui possiamo ascoltare squarci di angoscia come questi: "Me and my family moved in our apartment complex/ A gate with the serial code was put up next/The claim that this community is so drug free/ But it don't look that way to me, cause I can see/ The young bloods hanging out at the store/ 24/7 junkies looking got a hit of the blow, it's powerful" oppure "United Nations overseas, they train assassins/ To do search and seize, aint knocking or asking/ Them coming for niggas like me/ Poor white trash, like they, tricks like her back in slavery". Ma non è tutto qui: in Live At The O.M.N.I. il quartetto si scaglia contro le logiche del sistema carcerario americano e soprattutto contro la repressione poliziesca, specialmente se esercitata da quella che loro considerano la propria gente: "I went to jail fo' the cause/ And to the black police: wouldn't give 'em the sweat off my fuckin' balls/ Suckin' on the devil's dick/ Already kissin his ass for a ten dollar raise, bitch/ Beat me down for some petty cash/ Smilin' in my face as the beast looked and laughed".
E se quasi ovunque nel disco si possono leggere messaggi di questo tenore (anche se non sempre così specifici), come in I Didn't Ask To Come, Sesame Street o The Coming, alla fin fine quelle che marcano in maniera definitiva la specificità dei Goodie Mob sono senz'altro la title track (inusualmente leggera rispetto al resto) e soprattutto la traccia denominata Dirty South: il fattoo che sia stata questa canzone a descrivere fin da subito un'intera regione credo basti per indicarne l'altissima rappresentatività. Ascoltare per credere.
Del resto, se i loro messaggi centrano tutti il segno è perchè appare evidente la loro trasparenza e la loro onestà nel descrivere date situazioni così come se stessi; non una volta infatti si fa vivo il sospetto che stiano esagerando nel narrare una determinata situazione, magari per farci una figura migliore; anzi, in casi come Guess Who (una delle migliori dediche alle madri assieme all'intramontabile Dear Mama di 'Pac) si nota quanto siano al contempo profondi e schietti. E alla fine, quando si prendono una pausa da tutta la serietà del disco con l'immancabile ode al fumo che è Goodie Bag, ci si rende conto che quello che abbiamo di fronte è uno dei gruppi più credibili di sempre.
Nulla contro i Public Enemy, per esempio, ma la quasi totale assenza di autobiografismi (passatemi il termine) alle volte me li ha resi freddi, distanti; idem i Dead Prez, che oltretutto ai miei occhi si sono sputtanati con la über-farlocca Mind Sex; e anche gli N.W.A. risultavano così iperbolici da far passare spesso in secondo piano il succo dei loro discorsi. I Goodies, invece, pur mantenendo un approccio sociale molto marcato sono riusciti a conservare un'attitudine da strada -da non confondersi con gangsterismi di sorta- a cui moltissimi MC e gruppi che gli sono succeduti negli anni devono qualcosa. Ma su quest'aspetto tornerò dopo, intanto lasciate che elogi la bravura di T-Mo, Big Gipp, Cee-Lo e Khujo, perchè senza di essa molta della bontà di Soul Food sarebbe andata persa. Grazie invece alla loro abilità di MC e, soprattutto, di scrittori, la forza del messaggio guadagna punti risultando inoltre un piacere per l'orecchio, complici le loro metriche elastiche e gli accenti del sud; ciliegina sulla torta è l'alchimia sussistente tra i quattro, cosa più unica che rara e lampante in uno qualsiasi dei numerosi passaggi di microfono che avvengono nel corso del disco.
Ebbene: al loro ormai conclamato ma sempre stupefacente talento vanno ad affiancarsi dei beat che definire perfetti sarebbe poco. Ma attenzione: quando scrivo "perfetti" vorrei che fosse chiaro che mi riferisco soprattutto alla capacità che essi hanno di fondersi con le liriche per accentuarne l'evocatività e l'atmosfera. Gli Organized Noize hanno qui fatto un capolavoro, creando un suono organico dotato sì di chiari riferimenti al miglior sound di New York, ma capace al contempo di distanziarsi da esso e suonare fresco ed originale. Apprezzabile è inoltre la totale assenza di synth o ammiccamenti alla west coast -cosa invece sovente presente nei dischi dell'epoca provenienti dal sud, cfr. 8Ball & MJG o i Geto Boys- il tutto a favore di batterie belle pesanti avvolte in bassi corposi e campioni minimalisti degni dei migliori Beatminerz. E la loro capacità di creare beat efficaci, sporchi e d'atmosfera è aiutata molto dal fatto che spessissimo vi siano uno o più strumenti suonati live (cosa che si sente, credetemi, sentite solo l'attacco di Sesame Street), che pongono la cosiddetta ciliegina sulla torta rendendo Soul Food una delle opere meglio prodotte di tutto il decennio. Stando così le cose è difficile stabilire quali siano i pezzi migliori, al limite si possono avere delle preferenze personali: le mie vanno senz'altro a Sesame Street, Guess Who, The Coming e The Day After, ammesso che la cosa possa interessare.
Insomma, a conti fatti mi riesce impossibile non definire Soul Food un capolavoro degno di stare a fianco di Enter The Wu o Word Life: l'esecuzione è perfetta, originale, intelligente e creativa e ad oggi nessuno è stato capace di battere i Goodie Mob sul loro terreno. Ascoltare quest'album insegna diverse cose su determinate realtà e, soprattutto, ascoltarlo senza provare un certo tipo di partecipazione è impossibile -e se succede a me, che con loro non centro assolutamente nulla, non fatico a capire come mai al di sotto della linea Mason-Dixon sia venerato come un'opera unica. Ma non crediate che l'influenza avuta da Soul Food si sia limitata alla Georgia o al Texas, in cui è peraltro evidente; pensate a tutto il cosiddetto "blue collar rap" che oggi va tanto e viene giustamente acclamato: da dove pensate che venga, chi pensate che l'abbia forgiato nella sua forma attuale? Certo, sarebbe probabilmente nato anche senza questo disco, ma visto che la storia non si fa con i "se" vi suggerisco di pensare ai Goodies ogni volta che vi vien voglia di dare un ascolto ai Little Brother, ai Cunninlynguists (i loro eredi spirituali più vicini non solo geograficamente), a Blu o Talib Kweli. E casomai doveste leggere queste righe ed ascoltare Soul Food mentre siete ancora ai primi passi di rap, e non vi dovesse piacere praticamente per nulla, fatevi dare un consiglio: compratelo lo stesso perchè tempo due-tre anni e comincerete a cambiare idea su di esso fino a giungere alla sua venerazione, esattamente come successe a me quindici anni fa.




VIDEO: CELL THERAPY

9 commenti:

Anonymous ha detto...

FCK SQUAD..ammetto di non aver mai sentito questo disco.e pochissima roba goodie mob,anche se dopo averli sentiti (penso) la prima volta su soul assassin..mi ero ripromesso di dedicargli tempo...cosa che non ho più fatto per quintalate di motivi del cazzo..MA oggi dopo essermi sbattuto circa 4 ore tra COMUNE e chiacchierate presso la questura dei CARAMBOIDI(aneddoto:stavano facendo dei lavori al primo piano e ad un tratto sono scesi dei muratori che definire fatti e puzzolenti d'erba era poco!!)..a seguito della mia coglionaggine per aver perso patente e carta d'identità(per fortuna ho risolto) Credo proprio che lo ascolterl anche perchè la recensione di reiser mi ha incuriosito enormemente..e sembra che le qualità del disco soddisfino tutti i requisiti che per me debba aver un buon disco REP...buona serata a tutti non perdete mai i vostri documenti(se proprio dovete farlo perdetene solo uno)ascoltatevi u rep e gambizzate i caramboidi...

Anonymous ha detto...

FCK-inventori di una gastronomia che ha come tratto principale quello di essere ipercalorica, speziata e fondamentalmente tanto indigeribile quanto gustosaMa oltre all'accezione più squisitamente legata all'arte dei fornelli, all'evocare immagini di unità famigliare

this iz calabria nycastro rappresent in the world

Anonymous ha detto...

5 mi sembra un po' tanto(diciamo che e' da 4 e mezzo): ci sono delle canzoni da 10 zaini (tipo dirty south) ma secondo me anche alcune dove la produzione perde un po' , sopratutto nella seconda parte dell'album.
che sia un gran bell'album non lo nega nessuno, ma southerplayalistic... suona molto piu' fluido nel suo totale.
sicuramente un album unico nel suo genere e forse per questo merita 5.

pero' non mi tirare fuori quella boiata di dear mama di tupac a.k.a. il rapper piu'overrated di sempre

djmp45

reiser ha detto...

Nella seconda parte l'album decolla, altro che! Nulla da dire su Tupac, a ciascuno il suo e nemmeno io posso dire di ascoltare 2Pacalypse un giorno sì e l'altro pure, ma la seconda parte di Soul Food non puoi toccarla.

Antonio ha detto...

Io preferisco Still Standing, ma tutti i discorsi da te fatti reggono eccome.

DJ MP45 è un hater! :-)

P.S.: il modello dei Cunning Linguists è certamente quello dei primi dischi dei Goodies, e Kno non lo ha mai negato.

Anonymous ha detto...

"DJ MP45 è un hater! :-)"
ce ne fossero di piu'..."No more music by the suckers"

djmp45

Anonymous ha detto...

FCK SQUAd..quel commento alla frankie hi è un articolo del danno su moodmagazine..quindi nocchè che forse quel simone è proprio er danno?...bu..oppure forse...................

Anonymous ha detto...

FCK SQUAD..t'amu sgamà t'amu sgamà

reiser ha detto...

"guess who e live at the omni"
De gustibus, si capisce, ma a me fanno sburrare

Posta un commento