CUNNINLYNGUISTS - SOUTHERNUNDERGROUND (A Piece Of Strange Music, 2003/2009)

giovedì 4 marzo 2010

Recensire Southernunderground dopo aver avuto modo di descrivere nel dettaglio quell'autentico capolavoro che è il successivo Piece Of Strange non è cosa facile. Quel che mi preme è difatti sottolineare il valore fuori dal comune di quest'opera, ma al contempo comunque marcare le differenze con il classico di cui sopra, di fronte al quale la prima fa un po' la figura della bozza, dello schizzo. Insomma, il rischio è di procedere per sottrazione anziché per addizione.
Eppure Southernunderground è un album unico, in cui i Cunninlynguists (con l'aggiunta di Mr. SOS) dimostrano una crescita artistica rispetto all'esordio assolutamente fulminante, sia dal punto di vista delle liriche che, soprattutto, delle basi. Kno è infatti riuscito nell'opera non comune di espandere il suo ottimo orecchio per le melodie riuscendo contestualmente a lavorare molto sulla struttura delle canzoni e dei pattern delle batterie, con l'encomiabile risultato di fornire tappeti sonori gradevolissimi all'ascolto ma non per questo semplicistici. Non c'è nulla di «orecchiabile», insomma, eppure l'ascolto fila via con un piacere innegabile: e questo è secondo me il maggior pregio non solo di quest'album bensì dell'intera produzione discografica dei Cunninlynguists.
La mia meraviglia è sincera: come è possibile per Kno passare, come se nulla fosse, dai flauti hayesiani e dall'uptempo di The South al melancolico campione di piano e viola di Elton John che si può sentire in Rain? Oppure dai King Crimson di Doin' Aight al fischio (umano) del remix di Appreciation, che per giunta rispolvera il bel riverbero sul rullante reso immortale da Elevators degli Outkast? La faccio breve: non ne ho idea, so solo che la sua sensibilità di beatmaker è davvero difficile da trovare oggigiorno. La varietà dei campioni, la ricchezza del suono unita alla compattezza delle atmosfere -quasi tutte tendenti ad una sobria cupezza- rendono Southernunderground un disco capace di farsi ascoltare e riascoltare a piacimento senza quasi nessun intoppo, dove quel "quasi" è incarnato dall'iniziale title track, guardacaso curata non da Kno bensì da Domingo e che viene a noia già dopo pochi ascolti (complice anche lo strasentito sample di How Could You ecc. di Carla Thomas). In linea con la qualità offertaci dal produttore dei Cunninlynguists sono invece i contributi di tale Prose, autore dell'eccellente Sunrise/Sunset, e RJD2, che benedice quella che a dir di moltiè considerata la miglior canzone dei di Southernunderground: Seasons.
In merito a questo giudizio non sono certo d'essere d'accordo -con tanto materiale di qualità tra le mani risulta molto difficile operare una scelta univoca- ma posso capire che sia facile giungervi nel momento in cui si presta attenzione alle liriche: in Seasons infatti i tre chiamano al microfono l'inossidabile Masta Ace per lasciarsi andare ad un'ode/critica dell'hip hop, la cui storia viene divisa in quattro metaforiche stagioni. Una prospettiva nuova, questa, che grazie ad un'esecuzione eccellente ridà vita a questa forma di canzone e che indubbiamente sancisce uno dei picchi qualitativi che si notano in quest'album. Ma un altro di questi è senz'altro l'epica Falling Down, opera in tre parti (con tre diverse strumentali, manco a dirlo tutte ottime) in cui viene ripreso efficacemente -anche se non senza certe iperboli- Un Giorno D'Ordinaria Follia; e se anche questa non dovesse bastare, vi sono anche le introspettive Rain e Appreciation, con quest'ultima impreziosita da una strofa di Cashmere The Pro a dir poco eccezionale. Last but not least, persino gli estri di polemica sociopolitica riescono bene al trio del Kentucky: Dying Nation colpisce nel segno grazie ad un'analisi impietosa dell'operato di Bush, la quale trova la sua logica conclusione in un ritornello indimenticabile in cui vengono estrapolate due frasi assai significative di Let The Sunshine In (sa dio però quale versione).
Ebbene: e allora, se l'album è così strepitoso dal punto di vista musicale e ben scritto da quello testuale, perchè non riceve il massimo dei voti? Innanzitutto perchè non tutte le basi sono sullo stesso elevatissimo standard: la già menzionata Southernunderground manca difatti il bersaglio, e d'altro canto nemmeno Old School convince appieno. Ma insomma, fosse solo questo si potrebbe glissare. Purtroppo, invece, quello che rovina quest'album è la presenza di Kno al microfono: e non tanto perchè i suoi testi siano più o meno fiacchi di quelli dell'irreprensibile Deacon o di Mr. Sos (anche se le cadute di stile rispetto ai due ci sono), quanto perchè il suo stile e la sua voce rientrano tra le cose peggiori che abbia potuto sentire in un disco di rap serio. Gli manca insomma l'ABC, cioè una voce ed un flow che non prendano a pugni i timpani dell'ascoltatore... nessun problema se avesse fatto da ghostwriter, ma come MC risulta tollerabile solo in quanto bene o male si sa che la sua strofa prima o poi finirà. Oddio, sto esagerando un po' -spero si capisca- ma la realtà dei fatti non è molto più rosea.
Ma come potete notare dal voto non propriamente basso, questa magagna è per me tutto sommato perdonabile. Anche se ci sarebbero voluti ancora tre anni per giungere alla creazione di un disco perfetto, è evidente che con Southernunderground l'aggiustamento del tiro era stato ulteriormente affinato. Nella ristampa che vi passo oggi potete trovare anche tutte le strumentali, tre remix a dire il vero non essenziali, e la (finta?) bonus track Karma che -se non ricordo male- nella stampa originale era stata posta in coda a War.





1 commenti:

reiser ha detto...

Come fai a preferirlo? In Pezzo Di Sstrano Kno non rappa, già questo lo rende LA hit

Posta un commento