THE BLACK MARKET MILITIA - BLACK MARKET MILITIA (Nature Sounds, 2005)

venerdì 6 febbraio 2009

Due riflessioni a freddo: la prima è che a partire dai Group Therapy i "supergruppi" nel hip hop si sono presentati con risultati inferiori alla somma delle parti. La seconda è che, a causa di ciò, persino una combinazione capace di far sognare il fan medio del rap degli anni '90 nel 2005 ha invece lasciato indifferenti moltissime persone, tra le quali il sottoscritto. Considerate dunque questa tardiva recensione come un mea culpa ed al contempo un invito a riprendere in mano un album che, sì, poteva essere meglio ma che una volta svestito delle aspettative esterne sa offrire gran bei momenti.
La composizione della squadra, innanzitutto: al microfono troveremo Tragedy Khadafi, Killah Priest, Hell Razah dei Sunz Of Man, Timbo King dei Royal Fam e l'esordiente William Cooper, mentre al campionatore si alterneranno tali Godz Wrath Productions ed una pletora di sconosciuti, con le uniche eccezioni rappresentate da Bronze Nazareth ed un membro dei Now & Laterz. Ora, chiunque mastichi un po' di storia del rap riuscirà a vedere qual è il trait d'union degli MC e di conseguenza potrà anche immaginarsi il suono che questi preferiscono, ed infatti il margine d'errore è pressoché nullo. Su un tappeto sonoro che ibrida atmosfere epiche e richiami all'ultimo RZA degno di nota, aggiungendoci un pizzico di QB quà e là, i membri dei BMM si lanceranno in invettive contro il Potere e la sua intrinseca corruzione, idealizzeranno tematiche molto care alla Nation Of 5%, citeranno passaggi biblici mischiandoli con fantascienza e, en passant, minacceranno di fare il culo a chiunque ostacoli il loro cammino.
Un approccio, questo, che riflette cristallinamente le loro singole carriere e che pertanto non potrà dispiacere a chi li ha segutiti in questi anni e che -sorprendentemente- porta ad una coesione artistica molto ben riuscita, specialmente se a passarsi il microfono sono Killah Priest e Tragedy. I due, infatti, oltre ad essere i migliori elementi del gruppo da ogni punto di vista, sviluppano un ottimo affiatamento e, se l'alternanza tra l'uno e l'altro è piacevole anche solo per questioni inerenti l'orecchio (voce, stile, ecc.), anche tematicamente si spalleggiano perfettamente. Più orientato ad una visione storico-religiosa ricollegabile alla situazione dei ghetti di oggi il primo, più versato nell'incrociare la consueta street life e gli insegnamenti degli attivisti neri "estremi" (Malcolm X e la NOI, Huey P. Newton, Clarence 13X) l'altro, come si può evincere da una citazione presa a caso: "Let the revolution start where's your heart, let ya heat pop/ Feel the lost cause of Afeni when she lost Pac/ Betty Shabazz, the slugs tore Malcolm's chest and he dropped/ Audobon building - might get murdered, what I'm revealing/ Cinematic like Michael Moore, Fahrenheit 9/11, Mac-11 flamin' the president's head till it's severed". Ora, con gli altri compari che li seguono grossomodo a ruota, si può dunque dire che abbiamo tra le mani un album a sfondo strettamente politico? Direi proprio di no, visto che al di là di qualche accenno ad eventi o fatti ben precisi i Nostri eroi preferiscono viaggiare sul binario della righteous ign'ance, dove si può benissimo accostare un accenno della fuga di Assata Shakur all'inserimento di proiettili nei caricatori (o alla rivolta dei maccabei, ai Sephiroth o a quel cazzo che ve pare).
Naturalmente si può vedere questo tipo di scrittura come fuffa malmascherata e pretestuosa così come raffinate parabole: questo sta al singolo, naturalmente, ma per quanto mi riguarda propoendo più per la seconda opzione sans il "raffinate", ed in fin dei conti testi scritti in questo modo intrattengono solitamente ben più del plateale "ti rompo il culo". In più, essi trovano una nuova coerenza se ad accompagnarli sono beat che ben rispecchiano quest'attitudine, ed in tal senso Black Market Militia non delude. Pur restando ad anni luce da qualsiasi cosa abbia a che fare con la definizione di originalità, è pur vero che una base come quella di Final Call è da brividi, a partire dal canto iniziale del similmuezzin fino a giungere al bel accostamento tra il corale campionato ed il sitar/mandolino; pure le più ruvide Dead Street Scrolls, Mayday (che rende You Are Everything di Gaye e della Ross pressoché irriconoscibile) o Gem Stars funzionano, forse proprio perchè alla fin fine rimandano con successo ad un misto di sonorità a cavallo tra 4th Disciple (cfr. i loop di piano pitchati) e The War Report (campioni vocali tagliati, batterie pesanti). Questa formula viene mantenuta per tutta la durata del disco, però, e questo da un lato lo rende monotono nella più stretta accezione del termine -senza contare poi che alcune produzioni sono palesemente inferiori ad altre e paiono quasi degli abbozzi per qualcosa che sarebbe dovuto essere meglio strutturato (cfr. Audobon Ballroom, Black Market, Breath Of Life o Think Market).
E dunque, benché io sia soddisfatto dal disco per quel che riguarda il versante lirico, in ultima analisi sono le produzioni -a volte brutte, spesso mal equalizzate, talvolta generiche e comunque poco originali- a tagliare le gambe ad un prodotto che così com'è piacerà senz'altro a chi già stimava i personaggi coinvolti, ma che di certo non potrà attrarre nuovi ascoltatori. Un'occasione parzialmente mancata, quindi, che tuttavia contiene almeno due gran bei pezzi (Final Call e Mayday) ed altri quattro più che degni di un ascolto. Provatelo.



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