SCARAMANGA - SEVEN EYES, SEVEN HORNS (Sun Large/Fat Beats, 1998)

mercoledì 11 febbraio 2009

Solo recentemente ho ripreso in mano l'esordio solista di Scaramanga alias Sir Menelik alias Cyclops 4000 e mi sono trovato a pensare che esso è invecchiato decisamente bene, che molte tracce non sembrano nemmeno vecchie di dieci anni e, infine, che Seven Eyes Seven Horns è complessivamente un buon disco contenente svariati ottimi spunti. Ma queste sono le conclusioni, mentre prima di giungere ad esse è necessario buttar giù un paio di nozioncine tanto per capire di chi stiamo parlando.
La persona in questione, su cui le note biografiche sono stupefacentemente scarne, prende il nome (questo nome, perlomeno) da un personaggio abbastanza burino dei film di 007 che -e vabbè, pensate che cazzatona col botto- era uso assassinare i propri bersagli adoperando rigorosamente proiettili d'oro; legato in maniera ufficiosa a Kool Keith e Godfather Don, e come quest'ultimo anch'egli originario di Brooklyn, verso la fine dello scorso millennio si fece notare sia per un po' di comparsate sui dischi di questi artisti, sia per la presenza sullo storico secondo volume di Soundbombing. Il motivo dell'attenzione riservatagli è da ritrovarsi principalmente nel suo stile, che tecnicamente è piuttosto libero e si muove agilmente sui 4/4, e nella scrittura piuttosto verbosa e ricollegabile a quello che alcuni amano definire flusso di coscienza ma che io sovente identifico più con un "dico la prima roba che mi passa per la testa". A fargli da sponda musicale ci sono poi beat che sono sì indubbiamente ricollegabili al hardcore nuiorchese, ma che sovente si distaccano dalla sua forma più tradizionale e s'inoltrano in un territorio per l'epoca abbastanza d'avanguardia; questi due elementi, dunque, si uniscono infine in una sintesi generalmente ben riuscita e che in qualche caso raggiunge picchi qualitativi degni di nota.
Sul versante dei beatmaker i nomi sono principalmente tre: Scholarwise, lo stesso Scaramanga e Godfather Don, ai quali vanno poi aggiunti il wutanghiano Goldfingaz ed il buon Showbiz con una traccia ciascuno. Come raramente accade, però, il caso vuole che sia lo stesso 'Manga a produrre la base migliore nonché più interessante del disco, e cioé Strip Club Bait. La genialità di questa sta nel fatto che su un tappeto di archi effettati à la Godfather Don, il Nostro crea una sorta di melodia fatta coi suoni dei tasti e la suoneria di un cellulare che va a riallacciarsi con la narrazione che, come si può dedurre dal titolo, ha inizio con una telefonata in uno spogliarello e prosegue poi nel filone pimpalicious che tanto piace ai rapper ed ai suoi fan. Il bello è però che questo pezzo non intende assolutamente fare da colonna sonora a momenti analoghi (con tutta la pacchianaggine che ne consegue, senza contare il fatto che sapere come scopano dei maschi trentenni m'interssa limitatamente), bensì opta per uno storytelling sulla cui linearità si può dubitare ma che innegabilmente riesce in pieno a ricreare l'atmosfera urbana in cui esso ha luogo. Da applausi a scena aperta.
Anche le altre tracce prodotte da Scaramanga, in particolar modo la scarnissima Sugar '99, dimostrano un buon talento nel confezionarsi beat che non solo gli calzano a pennello ma che sono delle chicche a prescindere; e perciò fa specie che un produttore a tempo pieno come Scholarwise si dimostri decisamente meno capace di quanto sia lecito aspettarsi. Difatti, mentre non ho nulla da dire sulla bella Seven Eyes Seven Horns -che combina magistralmente un campione di Hammond con batterie incalzanti da parata- mi lasciano perplesso Cash Flow e Death Letter: la prima perchè è francamente troppo essenziale e pare una sorta di abbozzo di beat, per intenderci quelli che alcuni usano per venti secondi di canzone per ridare l'idea che ci si trovi ad una competizione di freestyle; la seconda, invece, perchè pare una versione migliorata e completata della prima, il che però non significa in nessun modo che acquisisca un valore positivo assoluto. Meglio a questo punto Alphabetic Hammer, che rielabora per la terza volta il concetto di beat minimalista (alias batteria, basso ed un solo stringatissimo campione monocorde) e finalmente riesce a risultare apprezzabile, specie poi se paragonata alla tanto melodica quanto monotona Holdin' New Cards, in cui un Goldfingaz non esattamente all'apice dell'umana creatività prende un banalotto loop di clavicembalo e, senza arrossire per la vergogna, lo ripete ad libitum per quasi quattro minuti senza curarsi di robette da femminucce come bridge, pause e quant'altro. Decisamente meglio fanno a questo punto -e non è difficile- uno Showbiz in piena modalità D.I.T.C. (Mind I.C. Mine non stonerebbe in Full Scale) e Godfather Don, con quest'ultimo che remixa Death Letter adoperando The Edge di David McCallum (che ormai non si può più sentire, purtroppo) e che gioca di sponda con il suo Diabolique mediante Special EFX; stranamente, stavolta non stravolge il campione e ciò mi rende possibile conferirgli un'origine: soul sul genere di Syl Johnson, tanto che credo di averlo già sentito in qualche roba del Wu-Tang.
Venendo ora all'emceeing, la prima cosa da dire è che Scaramanga non brilla esattamente per sintesi. Analogamente ad un Aesop Rock ante litteram mischiato al Kool Keith meno weirdo, il Nostro si lancia in un assalto verbale che potrà piacere solamente all'aficionado duro e puro (e d'altronde non è che questo disco nell'insieme conceda aperture di alcun tipo, anzi), e persino questi dovrà comunque mantenere alta la soglia d'attenzione per poter captare le eventuali trovate sparse quà e là. Personalmente, ciò che apprezzo molto di lui è l'abitudine di ondeggiare tra il "chiudo la rima quando cazzo me pare" ed il stare perfettamente sulla battuta riprendendo lo stile di Kool G Rap. Mi spiego: se si prendono un paio di suoi versi (inteso all'italiana, tu chiamale barre se vuoi) si noterà facilmente che li chiude in maniera abbastanza sciolta, in anticipo o in ritardo sulla battuta e comunque aprendo i successivi riagganciandoli ai precedenti come se fosse un flusso continuo; all'interno però del singolo verso, egli si cimenta però con incastri classici parecchio serrati e di sicuro effetto. La prima strofa di Strip Club Bait è rivelatrice, vi consiglio di ascoltarla non solo per esclamare FUCK YEAH! facendo le cornine mentre la sentite, ma anche per capire al meglio ciò che intendo.
Ciò detto, non è che in quanto a tematiche vi sia molto da dire. Il punto di forza di Scaramanga è la sua tecnica, non c'è dubbio; tant'è che le volte che decide di affronatre un qualche tema (comunque nulla di particolarmente astruso, spesso il suo modus vivendi) questo si piega immancabilmente alle richieste della metrica. Un approccio, questo, forse ancora più estremo di quello del mentore ufficioso di 'Manga, cioè quel Kool Keith che si fa viaggi anche più bizzarri inventandosi a seconda del caso la metrica che più gli torna comoda. Ma a prescindere da ciò il risultato funziona magnificamente nella maggior parte dei casi, e solo quando decide di cavalcare un beat troppo regolare il giocattolo si rompe: nuovamente, mi sto trovando a parlar male di Holdin' New Cards.
Conclusione? Molto, molto interessante. Certo Seven Eyes Seven Horns non è esente da vari difetti -concernenti principalmente i beat- ma nel complesso non ritengo che questi siano tali da scoraggiare gli appassionati, che anzi troveranno molti spunti positivi sparsi per il disco. Peccato solo che vi sia solamente una traccia davvero antologica, con tre molto buone di controno; stando così le cose, non me la sento di dargli più di tre e mezzo, ma alla fine poco importa...



1 commenti:

MAK ha detto...

Io lo presi un pò di anni fa su Amazon tanto per cambiare, dovrebbe ancora esserci a prezzi ragionevoli.

Pensare che l'ho rispolverato la settimana scorsa, ed è stato in heavy rotation per tutta la giornata, macchina compresa. Per me vale 4 zainetti, anche se riconosco che la recensione è ben poco discutibile. Ma tieni pure conto che io sono uno di quelli che quando sente robe come Mind I.C. Mind e dei flow di questo calibro è AMPIAMENTE soddisfatto.

Decisamente meno gustosa la "raccolta" The Einstein Rosen Bridge, sebbene qualche manata ci sia anche lì.

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