PETEPHILLY AND PERQUISITE - MIND.STATE (Epitaph, 2005)

giovedì 5 marzo 2009

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E’ buffo: alle volte incappi in un disco quasi per caso e magari senza dargli un gran peso. Questo, almeno, succede a me. Nel dettaglio, qualche settimana fa sono entrato in un negozio di dischi usati per vedere se avevano qualcosa dei primi Soundgarden ed invece me ne sono uscito con questo Mind.State del duo olandese formato da PetePhilly (Mc) e Perquisite (produttore).
Non che i loro nomi mi suonassero nuovi: se n’era già parlato in abbondanza sia in rete che sulla carta stampata, ed i vocaboli più sentiti in quelle occasioni erano “avanti”, “geniale”, “sperimentale” e via dicendo, cosa che, al solito, ha fatto crescere in me sospetti di pacco al limite della paranoia. Dopo due settimane circa di ripetuti ascolti, il mio scetticismo è stato finalmente sconfitto e così posso dire che mi sbagliavo.
Tanto per cominciare, il disco si presenta bene: digipack a doppia antina, grafica molto stile “street art” (curata da TwoThings... Boghe?), booklet contenente tutti i testi e adesivo recante un elogio da parte di nientepopodimenoche Talib Kweli. Mica cazzi. Altra peculiarità: tutti i titoli dell’album corrispondono ad uno stato d’animo: gli anglofoni e/o gli intelligenti cominceranno dunque ad intuire che si potrebbe trattare di un concept album. Le loro doti di fini osservatori della realtà saranno premiate: è un concept album.
Svelato l’arcano, comincia l’ascolto: bella intro coi soliti scratchini, e poi subito la prima traccia: Relieved… toh, un inedito di Ali Shaheed Muhammad con su un Talib Kweli in erba, maddài, mica lo conoscevo… invece no. Ascoltando con un orecchio meno ottuso, si nota che Philly tira sì saltuariamente delle sucate al Talibbo (tenete presente che mi riferisco al T. Kweli dell’immediato post-Black Star), ma resta comunque abbastanza riconoscibile per via della metrica un po’ meno complessa e d’un approccio alle tematiche più diretto, teso molto verso lo storytelling. Storytelling, appunto, inquadrabile come elemento principale dell’album; i suoi tratti somatici sono l’uso di uno stile a metà tra il racconto vero e proprio e l’utilizzo di immagini, un ibrido ben riuscito che più di una volta evita di dar peso a rime in sé un po’ banalotte o non propriamente fresche. L’analogia che mi viene in mente lo collega per certi versi alla scrittura di Guru, per capirci. Rispetto a quest’ultimo, però, PetePhilly gioca molto sull’interpretazione (da che mondo è mondo, di king of monotone Mc's ce n'è uno), eccellendo in pezzi come Paranoid o Mellow.
Ovviamente, a determinare il successo finale dell’evocazione è l’alchimia tra i beat e le rime, e questa funziona praticamente sempre: ottimi esempi sono Eager ed il suo bel loop di piano; la già citata Paranoid (bellissimo il campione ed il bridge, valide le batterie che, a metà pezzo, vengono programmate in stile drum’n’ bass); la più classica Hope (che vede finalmente ‘sto benedetto featuring di Talib); infine, l’omonima Mindstate.
Di Perquisite s’è detto molto, e a ragione: la cultura musicale classica che ha alle spalle ha evidentemente influenzato la sua produzione, che risalta per i frequenti cambi di stile e melodia nei diversi pezzi, senza però danneggiarne la continuità. Anche l’elettronica si fa sentire e, a parte l’epilogo technuso di Motivated (un po’ troppo da Molella, per i miei gusti), non disturba.
In conclusione: il prodotto è ben pensato ed ottimamente realizzato, specie dal punto di vista musicale, tanto che se ne potrebbe tranquillamente fare un album di sole strumentali. PetePhilly, di suo, non scrive rime in sé perfette (anche se qualche virtuosismo c’è, cfr. la terza strofa in Hope, veramente bella), ma compensa il tutto tramite una buona abilità nel descrivere situazioni e stati d’animo ed una capacità di interpretarli in modo decisamente fuori dal comune –magari esagerando, in certi allunghi, ma sono inezie. L’unica critica che potrei muovere al tutto –ma è una questione privata- è che occasionalmente il disco, in tutta la sua pulizia e semiperfezione- risulta un po’ freddino.
In definitiva, questo Mind.State è un album che piacerà sicuramente a chi ha un orecchio piuttosto allenato e resta occasionalmente annoiato dalle “solite” uscite; tristemente, però, verrà impugnato anche dai soliti contadini che amano occuparsi di paragoni fatti alla carlona tra “la VERA musica” e “quelle cose tutte uguali che ascolti tu”. Triste ma inevitabile.
Sono però seriamente in crisi per quel che riguarda il voto finale: l’album, nella sua coesione, può risultare un po’ pesantuccio; del resto, è un problema tipico di qualsiasi concept album. Musicalmente ineccepibile, è un po’ più debole sul versante dell’Mc: ma si può dire che sia davvero un difetto e non una semplice smagliatura? Insomma, se gli omini a mia disposizione fossero cinque, gli darei un bel 4 e 1/2; disponendo però solo di quei quattro miseri cazzetti, arrotondo (con qualche esitazione) e gli do il voto più alto, aggiungendo un “buona fortuna” per quel che riguarda le vendite.

[Ah quanto si può sbagliare, una persona; persino io, che immodestamente sono un genio. Infatti, contando il fatto che negli anni passati dalla sua uscita ho riascoltato Mind State al massimo cinque volte, devo giungere a una conclusione: o sono io ad essere strano, oppure questo album è seriamente una mattonata sui coglioni. I beat, lo confermo, sono fatti bene ma viaggiano tutti sulla stessa lunghezza d'onda. Per quanto Perquisite dimostri senz'altro competenza e voglia di sperimentare, questo in fin dei conti non basta e se si prende l'album nella sua interezza non si può non risultarne annoiati. Diciamo dunque che una scrematura quantitativa avrebbe senz'altro giovato al prodotto. In più, PetePhilly non solo ha il difetto di assomigliare stilisticamente fin troppo a Kweli (fattore sul quale si potrebbe anche glissare), ma pecca di personalità. Ovverosia, né la sua scrittura, né le esperienze descritte nelle diverse tracce riescono a risultare un granché interessanti e, peggio ancora, le riflessioni su di esse spesso scivolano nella banalità tipica delle geremiadi da ubriaco. "Scialbo" è il termine che più gli s'addice, insomma, ed il suo cosid. self righteousness non fa altro che peggiorare ulteriormente le cose. Ne consegue che Mind State può essere apprezzato in piccole dosi, ma certamente non per i quasi settanta minuti di durata del tutto; come concept album in sè e per sè è anche pensato abbastanza bene, ma francamente non riesce a trasmettere molto e la sua freddezza mescolata ad una certa pretenziosità lo fa apparire un degno epigone dei lavori di Emerson, Lake & Palmer. Impossibile quindi dargli quattro -men che meno quattro e mezzo- però non me la sento di scendere sotto i tre zainetti abbondanti. Aggiungetegli mezzo, se volete, ma a vostro rischio e pericolo]




VIDEO: PARANOID

1 commenti:

Angelo ha detto...

boh io mi sono innamorato di sto disco al primo ascolto, secondo me sono entrambi molto bravi, pochi kutsey.

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