POLYRHYTHM ADDICTS - BREAK GLASS (Babygrande, 2007)

venerdì 13 febbraio 2009

Per cominciare la recensione di oggi con il mio consueto pistolotto alberoniano devo necessariamente aprire con un argomento che non c'entra una sega col disco dei Polyrhythm Addicts, ovverosia l'esordio dei Brooklyn Academy. Quest'ultimo mi sta dando diverse soddisfazioni nell'ultimo periodo, infatti, e non tanto perchè sia privo di sbavature o dotato di peculiarità tali da farlo svettare sulla competizione, bensì perchè si sente che è spontaneo e per certi versi improvvisato (per quanto possa essere improvvisato un disco registrato nell'arco di un anno). Bene. Perchè scrivo queste du' palle, però? Perchè il problema che ho con la maggioranza degli artisti che amano rifarsi alla seconda età dell'oro del reps è che sono -magari inconsciamente- prevedibili come la classica cagata dopo caffè+sigaretta; album che magari mi piaciucchiano anche, e che non ho problemi a definire tecnicamente ben fatti, spesso con me perdono punti in quanto dal loro ascolto si potrebbe quasi trarre un algoritmo da tanto che son "pensati" -paradigmatico di ciò è il 95% della produzione della Justus League, tanto per fare un esempio.
Attenzione però: non voglio fare un elogio del non-pensiero come unica forma efficace per rendere "viva" la musica (per questo c'è già quella macchietta di Giovanni Allevi), semplicemente prendo nota del fatto che esiste una generazione di MC che, probabilmente come reazione al totale svilimento dell'hip hop come movimento sociale e musicale, opta per una razionale controffensiva ribattendo punto per punto a tutti gli stilemi secondo loro più deleteri. Tuttavia c'è anche chi (solitamente si tratta di veterani) preferisce portare avanti una sua personale visione artistica e che magari per sua stessa natura rappresenta un'alternativa al mainstream più becero; meno dogmatici/ideologici nelle loro prese di posizione e più improntati ad intrattenere seguendo la classica formula "beat+rime fiche", questi artisti sovente confezionano album che pur non rifacendosi necessariamente ad un determinato tipo di suono/epoca riescono a riproporre efficacemente ciò a cui altri anelano in modo più esplicito. I Brooklyn Academy rientrano a pieno titolo in questa categoria di persone, secondo me, così come i vari Joell Ortiz, Cormega e, appunto, i Polyrhythm Addicts.
Il bello di questo disco è difatti che non contiene nessuna di quelle posizioni "urlate" che, a seconda dei casi, tanto piacciono (per limitarci all'Europa) a chi cerca un'affermazione della propria personalità in un disco: presunti ghettusi, hipster, puristi di professione e via discendendo nello squallore. Break Glass piacerà a chi apprezza l'hip hop puro e semplice, sia per via delle ottime capacità degli MC coinvolti sia per via del magnifico lavoro fatto da Spinna, e queste persone sicuramente gradiranno quel vago sapore di paranostalgia che questi 74 minuti scarsi di musica sapranno dare.
Innanzitutto c'è l'emceeing: dei membri originali dei Poly sono rimasti Mr. Complex e Shabaam Sahdeeq, mentre a sostituire Apani è giunta tal Tiye Phoenix che -lasciatelo dire a uno che non è esattamente un fan del rap al femminile- è seriamente potente e sovente brucia i suoi colleghi al microfono (i quali non sono esattamente delle chiaviche, mind you). Come loro stessi dichiarano a ragione in Kerosene: "We get compared to The Fugees/ But all of us can rhyme". L'unico peccato è che mentre gli stili dei tre sono abbastanza diversi (Complex ricorda per certi versi un Pharoahe Monch meno estremo, Sahdeeq è più rilassato e Tiye invece piuttosto aggressiva), le voci dei due maschi hanno più o meno la medesima tonalità nasale e pertanto i frequenti passaggi di microfono non risultano d'effetto come potrebbero invece essere, ma in fondo questo èun difetto relativo; ciò che conta è che in quanto a rime i demeriti sono veramente pochi e chiunque ami la scuola nuiorchese non potrà che restare entusiasta di ciò che i Nostri ci sanno proporre.
Anche sul versante tematico si nota molto lo stampo "classico" nel momento in cui a fianco al caratteristico ed imprescindibile wack-rapper-bashing (Smash, Kerosene, Reachin') i tre si concentrano perlopiù sulle proprie esperienze personali, traendone critiche ed osservazioni che spaziano dall'aver vissuto un'infanzia economicamente e socialmente merdosetta (Ugly World), all'essere risuciti a diventare degli artisti noti (discutibile) senza dover venire a compromessi con chicchessia (It's My Life) mentre altri si son messi a 90 senza esitazioni (The Purist, Four Corners); non dimentichiamo poi tracce espressamente dedicate al cazzeggio come Zonin' Out o Revamp che, accompagnate da beat adeguati, riescono pienamente nel loro intento di abbassare momentaneamente i toni dell'opera complessiva. Ciò che non mi convince però della parte vocale di Break Glass sono non tanto i featuring (dove comunque avrei preferito un Pharoahe Monch meno hypeman e più rapper, o un Planet Asia più impegnato) bensì i tanti cantati che, specie nella seconda parte dell'album, cominciano davvero a scassare la minchia in quanto letteralmente interrompono le canzoni anzichè accompagnarle: grossa pecca, questa, tanto più se non si riesce a capire la ratio dietro ad una scelta di questo tipo.
Volendo ora parlare dei beat, la prima cosa che va sottolineata è che è scandaloso che Spinna non venga pressoché mai citato quando si parla di produttori coi controcoglioni. Non lo so: la sua discografia è piuttosto estesa nonché variegata e va da buoni remix per i De La Soul o i Das EFX a produzioni per Talib Kweli e Mos Def, senza contare naturalmente l'ottimo lavoro svolto per i Jigmastas o i suoi solisti; malgrado tutto ciò, Vincent Williams continua ad essere sottovalutato o del tutto ignorato dalla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori. Vai a capire, io francamente ignoro come il suo saper mischiare in modo originale break pesantissimi a campioni di raro gusto, dando al tutto una pulizia che però non cancella il calore del suono, possa lasciare indifferenti. Prendiamo ad esempio Kerosene: l'attacco con trombe a tutto spiano inizialmente potrebbe far pensare alla classica traccia energetica tutta giocata sulla potenza, quasi fosse un inno: e invece per le strofe egli lavora di taglia e cuci su un sommesso cantato maschile che pare provenire dalla fine degli anni '50 e che viene piacevolmente interrotto dai ritornelli. Analogamente, Reachin' gira su batterie uptempo in cui un sample di voci femminili viene tagliato in stacchetti di tre secondi e viene mescolato a fiatti che vanno ad enfatizzare determinati passaggi degli MC. Ma giusto quando uno potrebbe pensare di aver individuato una formula, ecco che con scioltezza passa ad un sound ben più rilassato (Revamp) e potenzialmente adattissimo per del neo soul (Goin' Down), senza però fossilizzarsi nemmeno su quello: The Purist pare prodotta dallo stesso Large Professor (che appare al microfono, tra l'altro) da tanto che picchiano le batterie, mentre con Thoughts Of You va ad avvicinarsi decisamente ad un J-Dilla pre-Champion Sound, solo un po' meno grezzo.
Insomma, spero di aver reso l'idea: per quanto possano esserci delle occasionali cadute di stile (due di numero: One Chance ha un bel beat ma il campione è onestamente fastidioso e fracassone, mentre Get Ghost è scontata e già sentita sotto ogni punto di vista) è difficile sentire cotanta varietà in un disco senza che immediatamente si crei una schiera di fan; e invece la creatività di Spinna pare proprio essere di seconda scelta, non ce n'è.
Magari la cosa dipende anche dal fatto di essere stati pubblicati dalla Babygrande che, detto tra noi, è una casa discografica del cazzo: negli ultimi tre-quattro anni non solo pare badare più ai nomi che alla qualità effettiva del lavoro, ma per giunta non è capace di promuovere assolutamente nulla che non sia legato ai Jedi Mind Tricks. E ora vorrei dire che mentre di dischi degli Outerspace o di Doap Nixon si può benissimo fare a meno, sottostimare un Break Glass investendo du' lire in promozione è semplicemente vergognoso. Io -come penso tutti i frequentatori di RNS- seguo assiduamente il rap, ma è quasi un caso che mi sia imbattuto in questo album; oggettivamente, come fa uno sbarbo alle prime armi a reperire materiale di qualità senza che vi sia la possibilità di leggerne da qualche parte?
E allora ecco che nel mio piccolo cerco di porre rimedio alle mancanze della Babygrande, dicendovi tre cose: primo, ascoltatelo; secondo, compratelo; terzo, quando lo comprate usate vie traverse (Vibra, Amazon, quel che ve pare) e non fate come me che, in pieno attacco di shopping compulsivo, l'ho pagato una fortuna da quei straccioni di Ricordi.



1 commenti:

Anonymous ha detto...

visto che se ne era parlato, tornato ora dal concerto di Capone e Noreaga.....che schifo...peggior concerto della mia vitsa!!

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